venerdì 29 ottobre 2010

La FP-CGIL: "la nuova pianta organica dell'ASP di Palermo peggiorerà la qualità dell'assistenza sanitaria"


L'ospedale di Corleone

Nella conferenza stampa svolta stamattina a Palermo, nella sala delle feste dell'ex P.O. "Pisani", la CGIL ha manifestato il suo punto di vista sulla rideterminazione della dotazione organica dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, adottata con delibera n. 788 dello scorso 22 ottobre. "La CGIL - è stato ribadito dagli interventi di tutti i suoi dirigenti - ritiene che il provvedimento produrrà il progressivo peggioramento dell'assistenza sanitaria, sia ospedaliera che territoriale, per i cittadini e delle condizioni di lavoro per tutti gli operatori". QUESTA SARA’ LA GRAVE CONSEGUENZA DEL MANCATO POTENZIAMENTO DEI SERVIZI TERRITORIALI, CHE IN MOLTI CASI VENGONO ADDIRITTURA RIDOTTI E DEL PROGRESSIVO RIDIMENSIONAMENTO DEGLI OSPEDALI IN PARTICOLARE DELLE ZONE INTERNE , COME CORLEONE E PETRALIA SOTTANA.
LA CGIL INDIVIDUA, INOLTRE, UNA PROFONDA CONTRADDIZIONE FRA L’ELEVATO NUMERO DI OPERATORI, ALMENO 950, DI FATTO, IN ESUBERO E LA CONSISTENTE MOLE DI ATTIVITA’ AZIENDALI ESTERNALIZZATE.
CIO’ COMPORTA UN GRAVE SPRECO DI RISORSE.
SI LASCIANO FUORI DALLA DOTAZIONE ORGANICA 703 LAVORATORI CONTRATTISTI, COMPLETAMENTE IGNORATI NONOSTANTE LA LORO PRESENZA IN AZIENDA DA ALMENO 20 ANNI, MENTRE SI CONTINUANO A SPENDERE INGENTI RISORSE PER ACQUISTARE ALL’ESTERNO SERVIZI CHE POTREBBERO ESSERE PRODOTTI ALL’INTERNO MEDIANTE LA LORO STABILIZZAZIONE E UNA LORO PIU’ EFFICACE UTILIZZAZIONE.
AL POSTO DI “INTERNALIZZARE” ATTIVITA,’ OGGI IN CONVENZIONE, SI RISCHIA, CON LA DIMINUZIONE DEL PERSONALE, DI PRODURRE LA SPINTA PER NUOVE E CORPOSE “ESTERNALIZZAZIONI”.
I DISTRETTI SANITARI, I PRESIDI OSPEDALIERI DELLE ZONE INTERNE, I PTA, I SERVIZI TERRITORIALI CHE DOVREBBERO RICOPRIRE IN UNA AZIENDA SANITARIA UN RUOLO CENTRALE DIVENTANO SEMPRE PIU’ MARGINALI.
I SERT (SERVIZI CONTRO LE DIPENDENZE PATOLOGICHE) A PALERMO SONO STATI RIDOTTI DA 5 A 3 E LA LORO DOTAZIONE ORGANICA E’ STATA FALCIDIATA. LA PRESENZA DEGLI PSICOLOGI ALL’INTERNO DEI SERT PASSA DA TREDICI A TRE, UNA PRESENZA ASSOLUTAMENTE INSUFFICIENTE.
MOLTI CONSULTORI RESTERANNO SULLA CARTA PERCHE’ CON LA DOTAZIONE ORGANICA DI UN CONSULTORIO SE NE VOGLIONO FAR FUNZIONARE DUE.
ANALOGHE SCELTE SI RISCONTRANO PER I MODULI DI SALUTE MENTALE.
LO SQUILIBRIO NELLA PREVISIONE E NELL’ ALLOCAZIONE DELLE DIVERSE FIGURE PROFESSIONALI, MEDICI, PSICOLOGI, PEDAGOGISTI, ASSISTENTI SOCIALI, FISIOTERAPISTI E TECNICI DI VARIO PROFILO METTE IN DISCUSSIONE IL CARATTERE MULTIDISCIPLINARE DELL’INTERVENTO SANITARIO E DETERMINA LA PROGRESSIVA MEDICALIZZAZIONE DELLA SANITA’ A DISCAPITO DELL’AREA PSICOTERAPICA, RIABILITATIVA E SOCIALE. L’AZZERAMENTO DELLE 13 UNITA’ OPERATIVE DI PSICOLOGIA CONFERMA QUESTO DATO.
SI RIDUCE IL PERSONALE, GIA’ ASSOTTIGLIATO DAI PENSIONAMENTI, MA SI AUMENTANO LE UNITA’ OPERATIVE INUTILI, CHE PER PROMUOVERE QUALCHE DIRIGENTE,SOTTRAGGONO RISORSE ALLE ATTIVITA’ DI BASE E ALLE STRUTTURE CHE EROGANO ASSISTENZA, AGGRAVANDO LA GIA’ COMPLESSA E FARRAGINOSA ORGANIZZAZIONE AZIENDALE.
LA CGIL PRESENTERA’, NEL CORSO DELL’INIZIATIVA, I NUMERI DELLA NUOVA DOTAZIONE ORGANICA ED EVIDENZIERA’ I LIMITI CHE RENDONO DIFFICILE LA RIORGANIZZAZIONE DI UNA GRANDE E COMPLESSA AZIENDA SANITARIA.
LA CGIL RAPPRESENTERA’ LE PROPRIE PROPOSTE, PORTATE NEL CONRONTO CON LA DIREZIONE AZIENDALE, PER CONTRIBUIRE ALLA SOLUZIONE DI PROBLEMI CHE IMPEDISCONO DI GARANTIRE LA TUTELA E LA PROMOZIONE DI UN BENE FONDAMENTALE COME LA SALUTE.
Palermo lì 26/10/2010

giovedì 28 ottobre 2010

LA PROPOSTA. Alberi e panchine per abbellire spazi pubblici abbandonati. Lo facciamo?

Qualche anno fa, passeggiando sulle sponde del fiume Passirio, a Merano (Bolzano) abbiamo notato che sulle panchine disposte lungo il percorso erano incise delle poesie di vari autori. Idea bellissima: passeggiare in un luogo alberato e fiorito e intanto lasciarsi portare dalle suggestioni ispirate dalla lettura. Abbiamo di recente letto sul sito del Comune di Merano che il Comune ha individuato delle zone da rimboschire (sembra un paradosso, in una regione già verdissima, sulle Alpi, ma al meglio non c’è fine), e propone agli stessi abitanti di contribuire a questa operazione, con una donazione di 100 euro per l’acquisto di un albero, di 70 per l’acquisto di un rampicante, di 50 all’acquisto per un cespuglio. Gli alberi ecc. saranno piantumati dai giardinieri del Comune e sarà posta su di essi una targhetta col nome del donatore. Se poi qualcuno desiderasse piantarli in zone diverse da quelle individuate, deve proporlo al settore apposito che, col supporto di esperti, individuerà il tipo di pianta più adatta al clima, alla zona ecc. Elementare.


Qualche giorno fa abbiamo letto su un quotidiano di una giovane architetta pugliese, trapiantata a Palermo, che ha avuto la felice idea di ripulire, col supporto di alcune persone del luogo, alcune zone, individuate all’Albergheria, in cui sono state interrate piante grasse. In queste piccole aree è stata posta un’immagine di santa Rosalia, allo scopo di incentivare nelle persone della zona (inabituate totalmente al mantenimento di un giardino, e abituate all’accumulo di munnizze di tutti i tipi) un senso di rispetto per il luogo. Su internet abbiamo visionato i molteplici filmati in cui sono ripresi i cosiddetti “Giardinieri sovversivi romani”, un gruppo di persone che, armate di pale, zappe, piantine e buona volontà, si adoperano per far comparire un giardino dove prima c’era un terreno abbandonato. A Parigi abbiamo passeggiato sulla “promenade plantée”, una ex ferrovia, ora in disuso, che attraversa la città, trasformata in un percorso alberato, fiorito, a tratti sopraelevato. Abbiamo visto biciclette elettriche, utilizzabili con tessera prepagata, posteggiabili in una gran quantità di luoghi in cui si possono ricaricare. Anni fa, all’interno del Centro sociale s. Saverio, le donne dello “spazio donne” (che esiste da più di 20 anni) hanno voluto festeggiare la fine di un corso di preparazione alla menopausa piantando un albero di mimosa nel giardino del Centro.

Partecipando al funerale di un amico, qualche giorno fa, abbiamo pensato che sarebbe bello accompagnarne la memoria con un segno tangibile che resti nel territorio, visibile a tutti: un albero a lui dedicato. Ma lo stesso si potrebbe fare per accompagnare la nascita di un bambino, o per ricordare un evento festoso, privato (un matrimonio, ad esempio) o pubblico (un avvenimento storico, un personaggio particolare…). Non fiori (recisi, quindi di brevissima durata) ma “opere di bene” che resistono e anzi crescono nel tempo, abbelliscono uno spazio, lo rendono godibile, fruibile, lo restituiscono alla gente, la invogliano ad avere un rapporto diverso con lo spazio abbellito, di custodia, di appartenenza, di tutela. E sottraggano lo spazio pubblico a quell’orrendo senso di estraneità, di bruttezza, di abbandono, di discarica pubblica a cui da sempre i loro occhi sono stati abituati, e a cui da sempre sono abituate Pubbliche Amministrazioni cieche e sorde, abituate anch’esse all’abbandono e alla bruttezza. Schiere di politici e amministratori frequentemente in viaggio internazionali e intercontinentali, a spese dei contribuenti, incapaci di importare in loco idee banali, semplici, perfette come l’uovo di Colombo.

Come da sempre nelle chiese si sono viste panche offerte “in memoria di” o, per le strade delle città e dei paesi, edicole votive “dedicate a”, oggi potrebbero, più laicamente, offrirsi giochi in legno, panchine, attrezzi ginnici, altalene ecc. A un incontro a cui partecipavamo come Centro sociale S. Saverio, anni fa, abbiamo conosciuto a Palermo alcuni membri di una cooperativa sociale (di cui colpevolmente non ricordiamo il nome, che potrebbe però essere recuperato facilmente), costituita da detenuti o ex tali, che costruivano manufatti in legno (panche ecc.). Si potrebbero mettere in sinergia, quindi, buone idee e bravi artigiani, ed innescare un positivo effetto domino. Semplice, bello, fattibile. Lo facciamo?
Maria Di Carlo

mercoledì 27 ottobre 2010

Saviano sfugge al confronto con il presidente del Centro Umberto Santino su Peppino Impastato

Roberto Saviano
Era già accaduto in occasione della pubblicazione sul quotidiano la Repubblica di una lettera del presidente del Centro Umberto Santino in cui si smentiva, date alla mano, l'affermazione contenuta nel volume La parola contro la camorra secondo cui il film I cento passi aveva "riaperto il processo" ai responsabili dell'assassinio di Peppino Impastato. La lettera, inviata il 25 marzo, è stata pubblicata, con un vistoso taglio, il 3 aprile 2010 e il redattore del quotidiano, per giustificare il ritardo, a un nostro sollecito ci ha informato che avevano chiesto a Saviano di replicare, cosa che non ha fatto. Ora, dopo la lettera di diffida all'editore Einaudi inviata il 4 ottobre, in cui si chiede la rettifica all'affermazione non veritiera contenuta nel libro, dobbiamo registrare il silenzio stampa di gran parte dei giornali, ad eccezione del Corriere della sera, di Liberazione, della Sicilia e di alcuni blog, il reiterato rifiuto di Saviano a confrontarsi, chiestogli, tra gli altri, da Radio Città aperta che ha mandato in onda un'intervista a Umberto Santino.
La ragione di tale rifiuto è evidente: è una fuga dalla verità, che dimostra quanto il giovane Saviano tiene a quella affemazione non veritiera, che a suo avviso sarebbe la prova più significativa dalla potenza della parola, considerata come una sorta di Logos neoplatonico e di Verbo del vangelo di Giovanni.
Non possiamo che prendere atto del silenzio della stampa italiana, anche di quella democratica e di sinistra, che ha creato o avallato il mito di Saviano, e delIa scarsa considerazione per la verità dei fatti del giovane scrittore ormai assurto a personaggio mediatico internazionale e predicatore televisivo.
Abbiamo espresso solidarietà al giovane scrittore per le minacce ricevute ma già prima del successo avevamo rilevato che Gomorra è un romanzo che confonde fiction e realtà, molto meno utile per la comprensione della camorra di altri testi più documentati e attendibili. Avevamo anche fatto notare che nel volume La bellezza e l'inferno si parla di una telefonata della madre di Peppino allo scrittore, che, da quello che ci dice Felicia, la cognata di Peppino, non risulta essere stata effettuata. Nello stesso testo si parlava del funerale della madre di Peppino in termini inesatti (c'erano "molti ragazzi", non c'era il sindaco ecc.). Al funerale hanno partecipato centinaia di persone, purtroppo poche di Cinisi, non solo "ragazzi", c'erano magistrati, giornalisti, protagonisti del moviemento antimafia degli ultimi decenni, il sindaco c'era e aveva proclamato, su nostra richiesta, il lutto cittadino, e il saluto laico è stato tenuto dal presidente del Centro Umberto Santino.
Anche questo, assieme a varie imprecisioni, rilevate da più d'uno, che costellano Gomorra, dimostra la superficialità di Saviano e il pochissimo conto in cui tiene l'informazione e la documentazione. Tanto, bisogna credergli sulla Parola!

Centro Impastato
Via Villa Sperlinga 15
90144 Palermo
Tel. +39 91.6259789, fax +39 91.7301490
e.mail: csdgi@tin.it
sito: www.centroimpastato.it

sabato 23 ottobre 2010

Focus sulla «società dell'eccesso»

di Michele Guccione
Lo storico Prestigiacomo racconta con documenti inediti gli sfarzi della nobiltà di inizio '900. Domina la cronaca il mito di Donna Franca Florio, sempre in prima fila ad accogliere regnanti e magnati della finanza. La storia di Oscar Wilde che fu respinto da tutte le famiglie aristocratiche
L'ultimo libro di Vincenzo Prestigiacomo, «Vita mondana e Mano Nera nella Palermo della Belle Epoque» (Nuova Ipsa Editore), è storicamente collocato a cavallo tra '800 e '900 ed ha sullo sfondo la follia dilapidatrice di una aristocrazia che consuma l'ultimo lembo di patrimonio ereditato dagli antenati. In luce tanti aspetti di una città che segna uno dei momenti economicamente più floridi e politicamente più travagliati della storia siciliana. Nella cronaca mondana il mito dei Florio è lei, Donna Franca. Alta, snella, flessuosa, ondeggiante, con quel passo che gli antichi veneziani chiamavano alla «levriera». Dinanzi al suo fascino si inchinano re e imperatori, poeti e pittori. «L'Unica» la definisce Gabriele D'Annunzio. Nei giorni assolati di gennaio 1897 c'è molta elettricità tra le giovani signore della nobiltà; tutte a perdere il sonno pensando all'incontro con Nathaniel Rothschild. Per il banchiere vengono organizzati ricevimenti da mille e una notte. Il valzer delle serate viene aperto dai Papè di Valdina. Alla festa partecipano i Florio. Donna Franca indossa un capo viola di Worth, maison d'alta moda parigina detentrice indiscussa del gusto e dell'eleganza della Belle Epoque. Tra gli invitati anche il duca Emanuele Filiberto di Savoia Aosta e la consorte Elena d'Orleans. A prima vista molte signore sembrano giovani e belle, ma ad uno sguardo attento appaiono sciupate, consumate dal tempo, dalla vita mondana, dal piacere. Due giorni dopo, tutta l'aristocrazia palermitana si trasferisce dai Florio all'Olivuzza. Tra le nobildonne si apre una competizione di sfoggio di gioielli siciliani. Donna Franca indossa un paio di orecchini pendenti in oro con pietre rosse bollati «Palermo 1775». Non ci sono occhi per ammirare una spilla a forma di ramo fiorito, con diamanti, smeraldi, rubini e perle. Ospiti che partono ed altri che arrivano. Sbarcano al molo Santa Lucia i Morgan, i Krupp, i Lipton. Intanto lo sfarzoso mondo interno dei palazzi nobiliari contrasta con quello esterno. Per la strada si parcheggiano carretti, si collocano tavoli sgangherati e sgabelli per gli oziosi e per i senza lavoro che si consolano della inattività giocando a scopone con carte untose. La posta in palio è un bicchiere di vino. Palermo usa sempre più spesso il tram elettrico, allegro e comodo. E mentre in parte avanza l'impetuoso progresso industriale, dall'altra persistono i malumori della classe operaia. Intanto ad aprile sbarca in città Oscar Wilde. Capelli lunghi, un libro e una rosa in mano, il fedelissimo «bastone animato» al fianco. A Palermo il nome dello scrittore irlandese corre di bocca in bocca. Il suo capolavoro «Il ritratto di Dorian Gray» gira per i salotti buoni della nobiltà e dell'alta borghesia Ma la sua vita scandalosa non piace al perbenismo dei Mazzarino, dei Florio, dei Lanza di Trabia, e di tutta la loro compagnia. La prima a non riceverlo nel salotto dell'Olivuzza è Donna Franca. A Wilde si condanna il comportamento ambiguo che tiene con lord Alfred Douglas, studente biondo, efebico e dagli occhi cerulei. Durante l'estate si sviluppa l'agonismo marino. Nelle spiagge di Sferracavallo e Acquasanta si vedono sguazzare uomini e donne con costumi goffi. L'attività ludica è ristretta soltanto ad una cerchia sparuta di palermitani. Vincenzo Prestigiacomo crea una cronaca che si avvale di un ritmo incalzante capace di calamitare il lettore al libro quasi come si trattasse di un giallo. I colpi di scena sono caratterizzati da un sequestro di una adolescente e da tre inquietanti omicidi, che vengono a sconvolgere la vita quotidiana di Palermo, non più «felicissima».
La Sicilia, 23/10/2010

Javier Pastore si racconta: "Voglio restare a Palermo"

Javier Pastore
di MASSIMO NORRITO

Javier Pastore a tutto campo. Il campione argentino si racconta e parla dell´espulsione nella partita con il Cska, del suo futuro in rosanero, della sua famiglia, della sua vita a Palermo, del matrimonio, del suo rapporto con Maradona e Zamparini. Una intervista nella quale il Flaco giura fedeltà alla maglia rosanero e auspica di poter firmare presto il nuovo contratto con il Palermo
Javier Pastore partiamo dall´espulsione contro il Cska Mosca...
«Lo so, ho sbagliato».
L´ha capito subito?
«Sì. Tanto è vero che uscendo ho chiesto immediatamente scusa ai miei compagni e ai tifosi. È stato un gesto che non avrei dovuto fare, ma ».
Rossi dice che si cresce anche grazie a queste cose.
«È la prima volta che mi capita, ma ero piuttosto nervoso. Ero molto dispiaciuto, credevo fossimo vittime di una ingiustizia e ho chiesto spiegazione all´arbitro. Volevo farmi sentire in prima persona. Volevo dire qualcosa io».
Insomma come fa il leader di una squadra. Lei si sente di potere ricoprire questo ruolo?
«Sicuramente sì. Nel Palermo di leader ce ne sono molti e io credo di potere essere uno di questi».
Troppo pesante il 3 a 0 rimediato contro il Cska?
«Il Cska è una squadra forte, ma il Palermo è stato in partita per larghi tratti. Nel primo tempo abbiamo giocato sicuramente meglio noi. Abbiamo però commesso qualche errore e siamo stati puniti subito. Allo stesso tempo però c´è stato fischiato un fuorigioco che non c´era. Insomma, la partita ha avuto un andamento diverso da quello che dice il risultato».
Un risultato che vi tiene ancora in corsa per la qualificazione?
«Sicuramente sì. Il pareggio tra Losanna e Sparta Praga mantiene aperte le porte dei sedicesimi. Dobbiamo vincere sia con Losanna che con lo Sparta. Possiamo sicuramente farcela».
Anche contro il Cska Mosca in molti erano allo stadio solo per vedere Pastore. Che effetto le fa essere l´oggetto di tante attenzioni?
«Mi fa stare bene. Mi piace. Sono contento che i tifosi mi vogliano bene. Io voglio solo continuare a fare bene e migliorarmi giorno dopo giorno».
Si aspettava un inserimento così rapido nel calcio italiano?
«No. La cosa ha sorpreso anche me, ma Palermo è l´ambiente ideale per crescere. Qui ci sono tanti giovani che fanno bene e i giocatori con maggiore esperienza ti aiutano. È un po´ come mi capitava all´Huracan. Non c´è grande pressione e poi c´è Rossi che mi aiutato molto a crescere».
Rossi ha anche detto che a volte lei esagera con i colpi di tacco.
«Ma io li faccio finalizzati al gioco. Io mi diverto. Con un colpo di tacco a volte si può velocizzare il gioco. Se poi trovi gente come Ilicic e Hernandez che ti asseconda diventa tutto uno spasso».
Quanto l´ha aiutata in questa crescita il Mondiale?
«Mi ha aiutato molto. Dopo l´esperienza in Sudafrica mi sento molto più sicuro dei miei mezzi».
Saranno state anche le parole di Maradona che l´ha definita "un maleducato del calcio"?
«Maradona è tutto. È stato il numero uno del calcio. le sua parole per me sono state una spinta incredibile. Per un argentino quello che dice Maradona è importantissimo. Figuriamoci il piacere che possono avermi fatto i suoi complimenti».
Da un argentino all´altro. Anche Messi ha avuto parole di elogio nei suoi confronti. Il sogno è un giorno poterci giocare accanto?
«Messi è un grande. Un grande calciatore, ma anche un grande uomo. Chi è che non vorrebbe giocare con lui?».
Qual è invece il giocatore italiano che le piace di più?
«Sicuramente Del Piero. Alla sua età è ancora un esempio per tutti. Un grande campione. Magari potessi un giorno diventare come lui».
Kakà, Zidane, Riquelme. Sono alcuni dei grandi nomi ai quali lei è stato accostato. lei in chi si rivede?
«Io mi ispiro a Kakà. Lo ritengo un giocatore straordinario. Mi piacciono le sue accelerazioni. il suo modo di giocare. Nell´anno in cui il Milan ha conquistato la Champions, Kakà vinceva le partite da solo».
Quanto le manca ancora per diventare come Kakà?
«Mi manca tanto. Devo ancora migliorare molto. Ecco perché non passa giorno che non impari qualcosa. Lavoro per questo, per arrivare a certi livelli».
Alla fine Kakà è andato via dal Milan. Lei andrà via dal Palermo?
«Io sto bene a Palermo e non penso a nulla. Sono felice di essere qui. La squadra sta crescendo e con la squadra cresco pure io. Non vedo perché dovrei andare via».
Ma se le dico Chelsea, Real Madrid, Barcellona, Manchester City, Inter?
«Mi fa l‘elenco di tante grandi squadre».
Tutte squadre che farebbero pazzie per averla.
«Ma queste sono solo voci. Con il campionato in corso tutte queste notizie lasciano il tempo che trovano. Qualcosa di vero potrebbe esserci semmai durante il mercato. A me non può che fare piacere che si parli di me. Chi inizia a giocare a calcio sogna da bambino di arrivare in squadre come queste, ma a Palermo, lo ripeto, sto benissimo».
Tanto che i suoi procuratori trattano il rinnovo del contratto con il presidente Zamparini?
«Sì. Le cose stanno proprio così. Il Palermo vuole tenermi, io voglio restare. Lavoriamo perché questo accada. Spero che alla fine le cose si concretizzino».
Zamparini la considera quasi un figlio. Per lei è veramente un secondo papà?
«Sicuramente. I primi tempi, quando ancora non ero arrivato a Palermo, lo sentivo al telefonino dall´Argentina e già allora lo percepivo molto vicino. Quando sono arrivato in Italia mi è stato molto accanto, mi ha coccolato. Un giorno mi ha portato pure a comprare le scarpe da calcio».
Insomma, uno Zamparini diverso dall´immagine del presidente burbero che esonera gli allenatori e polemizza con gli arbitri?
«Ma quella è l´immagine per l´esterno. Con noi è una persona molto dolce, sempre vicina ai calciatori e alle nostre esigenze. Quando viene al campo per l´allenamento è sempre molto attento a quello che facciamo».
Parliamo invece della sua vera famiglia. In molti dicono: Pastore è così bravo perché alle spalle ha una famiglia che gli vuole bene.
«È vero. Io devo tutto a mio padre e mia madre. Da quando ho iniziato a giocare loro hanno sacrificato tutte le loro domeniche per starmi accanto. Sapevano che per me giocare a pallone era tutto e quindi mettevano da parte ogni cosa per starmi vicino. Non finirò mai di ringraziarli. Sono stati fondamentali per la mia crescita di uomo e di calciatore».
Quanto è importante averli qui a Palermo?
«Molto. È fondamentale sentire il loro affetto. Mia sorella si è trasferita qui con i miei nipotini. Mio fratello vive a Palermo con me. I miei arrivano in città martedì e non vedo l´ora di una bella grigliata di carne argentina».
A Palermo lei ha trovato anche l´amore.
«Sì ed è bellissimo. Mi mancava l´affetto di una donna. La mia fidanzata mi dà tutto questo».
Pronto per il matrimonio?
«No. Sono ancora troppo giovane. magari a ventiquattro, venticinque anni ne potremo riparlare».
Come trascorre le sue giornate a Palermo?
«Tolto l´allenamento e il campo, mi piace molto andare a mangiare fuori. Gioco spesso al bowling e sono un appassionato di cinema. Quando è possibile vado a vedere un buon film. Quando sono a casa sfido mio fratello in interminabili partite di play station».
Parliamo del Palermo. dove può arrivare questa squadra. C´è chi dice addirittura che potrebbe essere un outsider per lo scudetto.
«Non so se possiamo lottare per lo scudetto, ma sono sicuro che possiamo arrivare molto in alto. Noi possiamo giocare alla pari con tutti e, soprattutto adesso che abbiamo iniziato a vincere anche fuori casa, possiamo vincere con chiunque e puntare al massimo».
(La Repubblica-Palermo, 23 ottobre 2010

mercoledì 20 ottobre 2010

Giuseppe Casarrubea e Mario Cereghino: "Mai detto che il cadavere non sarebbe quello di Giuliano ma di un sosia"

Vi segnaliamo un grave errore che si trascina da vari giorni per colpa di varie agenzie di stampa, a cominciare dall'Ansa. Noi non abbiamo mai affermato che nella tomba della famiglia Giuliano a Montelepre "il cadavere non sarebbe quello di Giuliano ma di un sosia". L'Ansa, addirittura, ha scritto negli ultimi giorni che "secondo Casarrubea, il bandito in realtà sarebbe stato fatto fuggire all'estero e il cadavere esposto sarebbe di un sosia". Ieri sera, abbiamo avuto una lunga conversazione con il dott. Pecoraro, giornalista dell'Ansa di Palermo, il quale ha subito rettificato la notizia errata, diramata nel tardo pomeriggio del 19 ottobre.
Ecco il testo redatto dal giornalista Pecoraro:
BANDITO GIULIANO: STUDIOSI, DA NOSTRO ESPOSTO VIA A INDAGINE (V. 'SALMA BANDITO GIULIANO...' DELLE 18.21 CIRCA)
(ANSA) - PALERMO, 19 OTT - Secondo lo storico Giuseppe Casarrubea e il ricercatore Mario J. Cereghino, la Procura di Palermo ha riaperto il caso del bandito Salvatore Giuliano, avviando una indagine a carico di ignoti per omicidio e sostituzione di cadavere, con lo scopo di verificare ''una serie di contraddizioni che emergono dai dati ufficiali relativi alla morte del bandito'', ucciso la notte tra il 4 e 5 luglio del 1950 a Castelvetrano (Pa). Sono stati proprio Casarrubea e Cereghino a fornire alla Procura il 5 luglio gli elementi che hanno indotto i magistrati ad aprire l'inchiesta e a disporre la riesumazione del cadavere, prevista per il prossimo 28 ottobre. Per i due studiosi ''vi sono elementi tali che e' legittimato il ricorso all'esame del
 Dna per accertare l'identita' del cadavere giacente nella tomba di famiglia dei Giuliano''. Nell'esposto Casarrubea e Cereghino chiedevano ''di volere intraprendere un'indagine conoscitiva per accertare l'identita' della persona uccisa nel cortile dell'avvocato Di Maria (Castelvetrano) rispondente al nome di Salvatore Giuliano, autore di stragi e omicidi, commessi in Sicilia negli anni che vanno dal 2 settembre 1943 e fino alla data del luglio 1950''. ''Gli scriventi - si legge - ritengono che vi sono fondati motivi per ritenere che il cadavere ritratto nel suddetto cortile e nell'obitorio del cimitero di Castelvetrano non siano la medesima persona ritratta in decine di fotografie e in un filmato del dicembre 1949 come il bandito Salvatore Giuliano''. (ANSA).
Il 5 maggio 2010, infatti, nell'istanza presentata al questore di Palermo, Roberto Marangoni, abbiamo scritto: I sottoscritti [...] chiedono alla S.V. di volere intraprendere un'indagine conoscitiva per accertare l'identità della persona uccisa nel cortile dell'avvocato Di Maria (Castelvetrano), la notte tra il 04 e il 05 luglio 1950, rispondente al nome di Salvatore Giuliano, autore di stragi e omicidi, commessi in Sicilia negli anni che vanno dal 2 settembre 1943 e fino alla data del luglio 1950. Gli scriventi ritengono che vi sono fondati motivi per ritenere che il cadavere ritratto nel suddetto cortile e nell'obitorio del cimitero di Castelvetrano non siano la medesima persona ritratta in decine di fotografie e in un filmato del dicembre 1949 come il bandito Salvatore Giuliano. Questa è una precisazione doverosa, che stiamo inviando a tutti i mezzi di informazione. Le notizie non veritiere, come si può bene immaginare, non fanno altro che apportare danno e confusione a una ricerca che conduciamo, con serietà e impegno, da oltre quindici anni.
Cordiali saluti
Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino
Partinico (Palermo), 20 ottobre 2010

Le minacce a Pino Maniaci non sono un caso isolato

di Alberto Spampinato
Pino Maniaci
Le nuove minacce a Pino Maniaci e alla sua famiglia dimostrano quanto sia rischioso fare informazione giornalistica nei territori soggetti alla criminalità organizzata. Esprimo solidarietà a Pino, ai suoi familiari e a tutti i collaboratori di Telejato. Auspico misure di sicurezza rafforzate e invito a non considerare quello di Partinico un episodio isolato. Bisogna sapere che in Italia, nel biennio 2009-2010, si sono verificati almeno altri 78 gravi episodi simili che hanno coinvolto non meno di 400 giornalisti; che altri dieci di questi episodi si sono verificati nella stessa Sicilia; che lo stesso Maniaci è stato già oggetto di minacce. Questa drammatica situazione è stata rappresentata con nomi, cognomi, date e particolari nel Rapporto 2010 di Ossigeno per l’Informazione. Il rapporto nonsi limita all’elencazione, formula alcune proposte per fronteggiare un contesto così allarmante. E’ necessario, infatti, denunciare ed esprimere solidarietà, ma non basta. Sono necessarie iniziative concrete per rendere più sicuro e socialmente riconosciuto il lavoro di cronaca. Non si può lasciare solo e indifeso, come spesso avviene, chi per informare i cittadini si assume un rischio che sta diventando sempre più elevato. Il carattere pubblico del giornalismo di cronaca dovrebbe essere riconosciuto apertamente, e non solo a parole. Chi informa l’opinione pubblica in modo professionale merita di essere protetto attivamente, di essere difeso, da tutti e innanzi tutto dagli altri giornalisti, sul piano dell’organizzazione del lavoro e da una legislazione adeguata. Una società democratica non può lasciare che criminali e prepotenti scelgano i fatti e gli argomenti dei quali i giornalisti possono scrivere sui giornali e parlare in televisione. In Italia, purtroppo, questo aspetto è da tempo trascurato, nonostante proliferino gli episodi di violenza contro i giornalisti e altri abusi commessi per oscurare notizie di rilevante interesse generale. In gioco non c’è solo il diritto di cronaca, c’è anche il diritto dei cittadini di essere informati.
Roma, 20.10.2010

mercoledì 13 ottobre 2010

Gli orfani piangenti. E i figli della mafia

Sonia Alfano “superstar” in senso mediatico. Sul celebre blog del “Fatto” torna sulla questione dei figli dei boss, uscita a proposito dei beni confiscati e rinfocolata da successivi interventi. Una replica a una replica (del legale di Provenzano, (ndr). Ora l’onorevole Alfano scrive: “La mia lettera non era scritta da parlamentare europeo, ma da figlia di una vittima innocente della mafia e non chiedeva l’impiccagione per i figli dei mafiosi ma un minimo di rispetto. (…) In realtà la cittadina italiana che ha subito violenza sono io e siamo noi, razza detestata degli “orfani piangenti”. Io, noi, e non lei o Roberta Bontate, ho subito la violenza dei suoi assistiti e dei loro sodali che hanno assassinato mio padre, come molti altri padri. La storia (e non io) dice che la Sicilia non è abbastanza grande per ospitare gente come i suoi assistiti e gente come le vittime di mafia, e lei sa bene che a pagare sono sempre stati i giusti. Ora basta, mettere i puntini sulle “i” diventa un dovere morale”. La lettera continua: “Mai detto che i figli debbano pagare per le colpe dei padri mafiosi. Quello che pretendo, sì, stavolta lo pretendo, è che non salgano in cattedra a dare lezioni se non prima di aver rinnegato non il padre, attenzione, ma la mafiosità dei padri, degli zii e dei fratelli. Dov’è lo scandalo, l’imbarbarimento, l’accanimento? Mi creda, nessuno più di un familiare di una vittima innocente della mafia può sapere cosa siano l’isolamento e l’etichettamento in una società in costante declino come quella siciliana; il diritto a vivere una vita dignitosa appartiene a me come alla signora Bontate. A dar fastidio è stato il suo orgoglioso salto sul pulpito. Un pulpito che noi, familiari delle vittime innocenti della mafia, non abbiamo mai preteso. Io, avvocato, sono andata a trovare Bernardo Provenzano in carcere, e direttamente da lui ho avuto rassicurazioni: “Sto bene, non mi manca niente”. Se non manca niente a lui che vive in regime di 41bis, si figuri ai suoi figli”.
LiveSicilia, 13.10.2010

“Se il boss è un padre di famiglia”

di Roberto Puglisi
Bernardo Provenzano
Rosalba Di Gregorio, legale di Bernardo Provenzano, è intervenuta nella querelle sulle responsabilità dei figli dei boss, una ferita riaperta da Sonia Alfano con un articolo sul “Fatto”. L’avvocato ha scritto, in replica: “Esprimo il mio pensiero da cittadina italiana e, nel caso specifico, manifesto il mio vivo disappunto. Ho sempre ritenuto che si debba essere valutati per quello che si è e per ciò che si fa e non per ‘l’eredità’ che, senza alcun merito e, dunque, senza alcun demerito, si riceve dai genitori. Sono autorevolmente confortata, in questo mio pensiero, dalla nostra Costituzione, che detta il principio di personalità della responsabilità penale. Come cattolica, poi, ricordo che ci si confessa e si fa ammenda dei propri peccati e non di quelli commessi da altri”.
E poi, avvocato, il boss è anche un padre, no?
“La dimensione familiare è unica. Il rapporto tra figli e genitori è personale, inviolabile, fa parte di un patrimonio affettivo disponibile solo a chi lo sperimenta”.
Lei difende Provenzano. E ha conosciuto Roberta Bontate.
“Quando era piccolissima. Che responsabilità può avere una bambina con papà in cella? Di cosa è colpevole, oggi, rispetto ai suoi ricordi e ai suoi sentimenti?”.
Sonia Alfano invoca la cultura della legalità.
“La legalità ha confini certi.Ognuno risponde delle proprie azioni. Chi vuole affermare un altro codice superiore, basato magari sul razzismo del nome, viola proprio quei principi”.
Chi sono i figli dei boss?
“Ragazzi che hanno avuto un papà normale, uno che gli diceva di fare i compiti e di lavarsi i denti. Come gli altri padri. I boss, generalmente, non si portano appresso la prole in fasce quando vanno a sparare”.
Quindi?
“Gli uomini devono essere valutati per quello che sono e per quello che fanno. Il figlio di una vittima di mafia non vale di più del figlio di un boss, in partenza, per un fattore generico e pregiudiziale. Contano i comportamenti e sulla base di questi si subisce il giudizio. E pure sulle ricchezze…”.
Sì?
“Non è vero che le famiglie dei boss vivano nello sfarzo di soldi illecitamente accumulati. Spesso non c’è un euro”.
Come s’è accorta della riflessione di Sonia Alfano?
“E’ stato Angelo Provenzano a segnalarmela. Voleva rispondere lui”.
E non ha risposto?
“L’ho bloccato. Non aveva titolo per replicare”.
Come sta Provenzano padre?
“Malissimo, in cella, con i riscaldamenti intermittenti per risparmiare. E può usare un numero limitato di maglioni”.
Perché?
“E’ la regola”.
LiveSicilia, 13.10.2010

martedì 12 ottobre 2010

Umberto Santino, presidente del Centro Impastato, diffida l'Editore Einaudi e Roberto Saviano a rettificare il libro "La parola contro la camorra"

Umberto Santino
Gli avvocati Pietro Spalla e Antonina Palazzotto, per conto di Umberto Santino, presidente del Centro siciliano di documentazione “G. Impastato”, hanno diffidato l’editore Einaudi a rettificare quanto contenuto nelle pagine 6 e 7 del libro di Roberto Saviano La parola contro la camorra, a ritirare dal commercio l’edizione in corso di distribuzione e a rettificare le edizioni successive, ripristinando la verità storica. «In mancanza – scrivono i legali - saremo costretti ad agire in giudizio per la tutela delle ragioni tutte – anche risarcitorie – del nostro cliente, con conseguente aggravio a Vostro carico anche per spese legali, interessi e risarcimento danni come per legge». Ma cosa ha scritto di tanto grave Saviano da scatenare l’offensiva legale del presidente del Centro Impastato? Ha scritto, per esempio: “Quando Impastato fu ucciso, l’opinione pubblica venne inconsapevolmente condizionata dalle dichiarazioni che provenivano da Cosa Nostra. Che si fosse suicidato in una sottospecie di attentato kamikaze per far saltare in aria un binario. Questa era la versione ufficiale, data anche dalle forze dell’ordine. Poi dopo più di vent’anni, nasce un film, I cento passi, che non solo recupera la memoria di Giuseppe Impastato – ormai conservata solo dai pochi amici, dal fratello e dalla mamma – ma addirittura la rende a tutti, come un dono. Un dono alla stato di diritto e alla giustizia. Questa memoria recuperata arriva a far riaprire un processo che si chiuderà con la condanna di Tano Badalamenti, all’epoca detenuto negli Stati Uniti. Un film riapre un processo. Un film dà dignità storica a un ragazzo che invece era stato rubricato come una specie di matto suicida, un terrorista”. Ma scrivendo questo, sottolineano i legali di Santino, Roberto Saviano ignora la storia. «Dimentica l’autore (consapevolmente?) più di vent’anni di lavoro del dott. Umberto Santino e del Centro di ricerca da lui diretto: le lotte, le manifestazioni all’indomani dell’assassinio nonché quelle annuali (ma non solo) organizzate per gli anniversari dell’assassinio dal Centro Impastato e dai familiari, i lavori di ricostruzione del delitto e le pubblicazioni del Centro Impastato; senza considerare che l’autore ha ignorato il lavoro della Commissione Parlamentare Antimafia (stimolato peraltro dal predetto Centro di ricerca), il lavoro dei magistrati e degli avvocati dei familiari.

Roberto Saviano

Nessun film ha “riaperto” il processo. Senza il lavoro continuo e costante del Centro di ricerca diretto dal dott. Umberto Santino, con il prezioso e instancabile contributo quotidiano della dott.ssa Anna Puglisi, e dei familiari di Giuseppe Impastato, le indagini non si sarebbero riaperte». E Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti non sarebbero stati riconosciuti colpevoli dell’omicidio e condannati, il primo a 30 anni e il secondo all’ergastolo. «È palese, a questo punto, concludono i due legali, la violazione del principio della verità storica che grava su chi fa o assume di fare informazione e pubblica notizie. Senza considerare che un testo come quello in questione è destinato a circolare in numerosissime copie e a divulgare una falsa rappresentazione dei fatti. Non solo, ma il libro viola l’identità personale e l’immagine del Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” quale soggetto che, sin dal 1977, è impegnato a lottare la mafia sul territorio e che ha avuto un ruolo essenziale nella ricostruzione dei fatti relativi all’omicidio dell’Impastato, tant’è che ne porta dal 1980 il nome!» (d.p.)



lunedì 11 ottobre 2010

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Corleone 10-10-10

Today, we woke up early to eat a delicious and nutritious breakfast consisting of bread, Nutella, cookies, milk, jam, tea, and of course – coffee. After breakfast we cleaned the entire house, including all of the floors, the entire kitchen, and the bathrooms. Then, we all left to Ficuzza where we toured the royal villa of Borboni, where he lived his life hunting after he was exiled. After leaving the vacation home, we went next door to see an exhibit of birds and turtles. Some birds in this bird museum are going extinct and need the care of the bird specialists to continue the species. We then came back to Casa Caponnetto to eat a typical Sicilian dish of pasta al forno (baked pasta) and then after we ate our first Sicilian Canolis. Then, we went on a walking tour of Corleone. We saw the town hall, the center square, and multiple Catholic Churches. After that tour, we went to the headquarters of the Corleone Anti-Mafia movement, Museo della Legalita. There were many symbolic paintings depicting the history of the Anti-Mafia movement, and also a video that we watched during the peak of the mafia domination within Corleone. By seeing this complete tour, we could understand the value of land, property, and legality. This made the group more aware of the importance of working against the Mafia and those who take advantage of law abiding citizens. After an enlightening day of Sicilian history, we all went to Black and White Bar for pizza, soda, and French fries. It was a good bonding experience for all.

domenica 10 ottobre 2010

CI SCRIVONO. Davide Greco: "Questo week-end a Campofiorito mi è andato storto..."

Via Mazzini: sul lato destro c'è il divieto di sosta
Salve Direttore Paternostro, sono Davide Greco, le scrivo da Palermo, ma ho origini di Campofiorito. Sicuramente non si ricorderà di me. I miei genitori sono entrambi di Campofiorito, Giuseppe Greco e Filippa Radosti, paese che lei conosce credo abbastanza bene. Vado raramente in paese ma questo week end in occasione della fiera abbiamo organizzato una rimpatriata con i miei cugini. Cosa che si verifica raramente visto che due di loro vivono a Milano e Siracusa. Purtroppo il week end mi è andato un po' storto per il fatto che le descriverò di seguito: questa mattina intorno alle 11 parcheggio la mia autovettura in Via Mazzini, entrando dalla Via Papa Giovanni XIII (la strada dove c'è la bevatura), proprio di fronte al panificio Cicio.  Noto entrando in via Mazzini che solo sul lato destro della strada, poggiati sui marciapiedi, ci sono dei cartelli temporanei di divieto di sosta 0/24. Sul lato sinistro della strada non vedevo nessun cartello del genere.

Via Mazzini: sul lato sinistro non c'è nessun divieto
Dopo avere fatto una passeggiata in mezzo alle bancarelle, ritornando nel luogo dove ho parcheggiato la mia macchina trovo il foglietto di preavviso accertamento infrazione al codice della strata, lasciatomi dal personale della polizia municipale locale in quanto avrei violato l'art. 7, comma 14 del Codice della Strada. Naturalmente alla vista del verbale sono saltato in aria, in quanto sul lato sinistro della via mazzini, non c'era nessun cartello che segnalasse il divieto di sosta. Oltre alla mia auto ne sono state multate altre tre. Insieme a un'altra persona che aveva subito il mio stesso torto ci mettiamo alla ricerca del vigile (credo si tratti di Triolo) per avere spiegazioni. Tra l'altro lo stesso vigile era già stato interpellato qualche minuto prima da una delle persone multate e la risposta del vigile è stata quella che per lui il cartello c'era e non gli interessava nulla se non ci fosse più.
Non riuscendo a trovare il vigile, trovo il sindaco e dopo aver spiegato l'accaduto lo invito a vedere il luogo dov'è stata accertata la violazione. Nel frattempo giunge anche il vigile accertatore (Triolo) e gli spiego che il verbale che aveva fatto era nullo in quanto il cartello era inesistente e che gli altri cartelli che si trovavano sulla strada erano privi di ordinanza sindacale così come previsto dall'art. 77 comma 7 del D.P.R. 495/92. Il sindaco insisteva che per lui l'operato del vigile era corretto nonostante gli abbia fatto notare che il cartello non esisteva! Arrivato a questo punto dicevo al sindaco che la moda di incassare soldi facili nel modo in cui vuole fare tramite i vigili urbani è assimilabile a un truffa! Perché non si gioca con "l'ignoranza" delle persone. Ora con le altre persone multate aspetteremo la notifica dell'infrazione e poi presenteremo ricorso al Prefetto di Palermo e se ce ne sarà bisogno anche al Giudice di Pace. Mi dispiace solo che qualora vincessimo il ricorso e ne sono più che sicuro visto che un paio di anni fa ne ho vinto uno dal G.d.P. per lo stesso motivo, saranno le casse del comune di campofiorito a pagare le spese processuali ! quindi è meglio per il comune perdere € 114,00 o pagarne di più per le spese processuali ??
Saluti
Davide Greco

Il “biennio rosso” nella zona del corleonese

di ROSA FARAGI

Nicola Alongi
Sono passati 90 anni da quello che gli storici chiamano “biennio rosso”, che in Sicilia fu un periodo di diffuse e intense lotte contadine per la terra. Esso è stato analizzato accuratamente dallo storico accademico Giuseppe Carlo Marino in “Partiti e lotta di classe in Sicilia” (1976), una delle sue opere più originali, fondamentale per la comprensione di questo periodo, che per il corleonese e segnatamente per Prizzi ha uno valore storico eccezionale.
Il mio interesse per la tematica risale ad alcuni anni successivi alla pubblicazione di quest’opera, ai primi anni ottanta, quando da studentessa partecipai al convegno “Corleone capitale contadina”, al quale intervenne Francesco Renda, docente emerito dell’Università di Palermo.
Le lotte di questo periodo rappresentano - come sostiene fra gli altri lo storico Salvatore Vaiana in alcuni suoi originali saggi sul movimento contadino in alcuni paesi della Sicilia centrale (Prizzi, Canicattì, Barrafranca) - la seconda fase del lungo ciclo di lotte per la terra che, iniziato con i Fasci siciliani, prosegue con la lotta per le affittanza collettive e poi appunto con il biennio rosso, e termina con la riforma agraria del 1950.
La prima di queste fasi (per la quale rinviamo, fra i numerosi studi esistenti, al pregevole volume del prof. Marino “Il maligno orizzonte e l’utopia. La profonda Sicilia dai Fasci al fascismo”, edita nel 1998), ebbe proprio a Corleone il suo epicentro, nelle cui terre bruciate dal sole e assetate di giustizia l’8 Settembre 1892 fu fondato da Bernardino Verro uno dei primi e dei più importanti Fasci della Sicilia. In pochissimo tempo il fascio di Corleone poté contare su 6000 soci tra maschi e femmine.
E proprio a Corleone il 31 luglio 1893 si riunirono le delegazioni di numerosi altri fasci contadini. In questa occasione vennero sottoscritti i cosiddetti “Patti di Corleone”, primo contratto sindacale scritto nell’Italia post-risorgimentale. Sulla base di questo storico documento, che verte essenzialmente sull’aumento dei salari dei braccianti e sulla modifica dei vessatori “patti agrari” cui erano sottoposti i contadini, furono organizzati i primi scioperi agrari, che non nascevano quindi da proteste spontanee ma avevano un riferimento documentale ben preciso e chiaro nei suoi obiettivi.
La reazione del governo, sollecitato dai proprietari terrieri, non si fece attendere. Nel gennaio 1894, i Fasci del Lavoratori furono sciolti con la forza e repressi nel sangue per iniziativa del capo del governo, il siciliano Francesco Crispi, un ex democratico risorgimentale la cui famiglia proveniva da un comune del corleonese, Palazzo Adriano. Verro e gli altri capi contadini furono processati da tribunali militari e pesantemente condannati a decine di anni di carcere. Grazie ad una amnistia, egli fu scarcerato e poté così continuare, nonostante le numerose intimidazioni, la sua battaglia a favore dei contadini.
Nel 1914 egli venne eletto consigliere provinciale e alle elezioni amministrative di Corleone la lista socialista in cui era candidato ebbe la maggioranza. Bernardino Verro, con 1455 voti di preferenza su 2405 votanti, risultò il primo degli eletti e così il Consiglio Comunale lo nominò sindaco, il primo sindaco socialista di Corleone.
Purtroppo, dopo poco tempo, gli agrari si presero una dolorosa rivincita. Nel primo pomeriggio del 3 Novembre 1915, mentre si recava a casa dopo una riunione in municipio, fu ucciso da 11 colpi di pistola. L’eredità politica e sindacale di Verro fu raccolta nel primo dopoguerra dai suoi numerosi discepoli sparsi nei comuni dell’hinterland corleonese, Corleone, Prizzi, Palazzo Adriano, Bisacquino. La sua vicenda umana e politica è stata raccontata da Dino Paternostro, sindacalista, giornalista, autore di saggi sul movimento contadino e direttore di “Città Nuove Corleone”.
Al ritorno dal fronte i contadini trovarono una situazione economica disastrosa: i campi, durante la loro forzata assenza, erano abbandonati ed incolti; l’inflazione li aveva ridotti alla fame. Gli unici che si erano arricchiti, approfittando di tale situazione, furono gli agrari e i loro gabelloti. La tensione sociale cominciò a salire in tutto il paese, tanto che il governo temette che, contagiando le masse operaie e contadine, l’esperienza sovietica si potesse estendere all’Italia.
Per fronteggiare tale situazione, il governo Nitti varò, nel 1919, il “ decreto Visocchi” e l’anno successivo il “decreto Falcioni”, che permettevano la concessione di terre incolte e mal coltivate a cooperative formate da reduci di guerra. Nonostante le ambiguità e le lungaggini burocratiche, per la prima volta lo Stato dava ai contadini gli strumenti legislativi necessari per rivendicare il diritto alla terra.
In tutto il paese si formarono cooperative per richiedere le terre da coltivare. Anche a Corleone e a Prizzi si crearono cooperative grazie a dirigenti socialisti come Vincenzo Schillaci e Nicola Alongi, capo indiscusso del movimento contadino della zona del corleonese, degno erede di Bernardino Verro.
Durante i Fasci siciliani, Alongi era stato un collaboratore di Verro. Seguendo l’esempio del suo maestro, egli costituì a Prizzi (un paese dell’entroterra feudale dove era nato il 22 Gennaio 1863), insieme a Giuseppe Marò e Salvatore Tortorici, il Fascio locale. Dopo l’assassinio di Verro, diventò uno dei più prestigiosi e coraggiosi dirigenti del movimento contadino in Sicilia. Il Professore Giuseppe Carlo Marino mette in evidenza, nel suo libro ”Vita politica e martirio di Nicola Alongi, contadino socialista” (1997) l’originalità e la modernità del pensiero e dell’azione di Alongi; infatti, insieme a Giovanni Orcel, segretario del sindacato metallurgici di Palermo, realizzò concretamente quell’unità di classe tra contadini ed operai che Antonio Gramsci aveva iniziato a teorizzare sulle pagine del giornale “L’Ordine Nuovo”.
Come abbiamo accennato, dopo il varo dei decreti Visocchi e Falcioni si cominciarono a costituire una serie di cooperative di ex reduci della grande guerra. A Prizzi Alongi fu l’animatore della cooperativa ”La Proletaria”, alla quale si contrappose una finta cooperativa di reduci, il cui ispiratore fu don Silvestre Gristina, detto “Sisì”, fratello del sindaco “socialista” Epifanio (che, dopo la marcia su Roma, avrebbe aderito al fascismo).
Il tentativo di Gristina era quello di bloccare le spinte di rinnovamento che Alongi e il suo gruppo portavano avanti intimidendo ed inquinando il movimento contadino.
Ma tale tentativo non riuscì, e allora gli agrari passarono alle maniere forti. Il 31 Gennaio 1919 a Corleone venne assassinato l’assessore socialista Giovanni Zangara; il 22 settembre dello stesso anno cade sotto il piombo mafioso Giuseppe Rumore, segretario della lega contadina di Prizzi e stretto collaboratore di Nicola Alongi.
Tale scia di sangue non fermò l’impegno di Alongi, né la spinta di rinnovamento delle masse contadine. Egli sapeva di essere il prossimo bersaglio, ma continuò a lavorare con la stessa passione di prima fino a quando la sera del 29 Febbraio 1920 due colpi di lupara lo fermarono per sempre.
La sua morte non fermò la mano assassina; infatti, il 14 Ottobre dello stesso anno fu ferito mortalmente il suo amico e compagno Giovanni Orcel, che si spense il giorno dopo all’ospedale “San Saverio” di Palermo.
Con l’uccisione di Orcel e di Alongi, capi indiscussi del movimento sindacale siciliano, si chiuse non solo il “biennio rosso”, ma anche una delle pagine più gloriose del movimento sindacale siciliano. L’avvento del fascismo ”normalizzò” definitivamente la situazione.
La vicenda degli omicidi di Alongi e Orcel ebbe il suo epilogo il 21 Gennaio 1921 con l’uccisione di colui che viene considerato, a torto o a ragione, il mandante di questi omicidi, don Silvestre “Sisì” Gristina. Il suo assassino rimane tuttora ignoto.
Prof.ssa Rosa Faragi

venerdì 8 ottobre 2010

Puglia: da mafioso della Sacra Corona Unita a bracciante sui terreni confiscati: «Quando ho ferito una bambina la svolta»

di Toni Mira*

Ore 4, Massimiliano si sveglia. Alle 5 deve essere sui campi, per raccogliere l'uva. Massimiliano è un bracciante, ma molto particolare. Unico. Perché quando si sveglia è in carcere. Perché lui è un 416bis, condannato a 12 anni per associazione a delinquere di tipo mafioso, la Sacra corona unita, la mafia pugliese. Ma ora non è più un mafioso. In carcere, grazie ad alcuni importanti incontri, grazie alla moglie, grazie ai figli, si è dissociato dalla vita criminale. Lo ha fatto pubblicamente, nell'aula del tribunale. E ora, dal 2 agosto ha ottenuto la semilibertà (caso unico per un condannato per mafia) e va a lavorare. Semplice bracciante, lui che disponeva di tanti soldi. Ora ogni giorno fatica sui terreni che erano di altri mafiosi.
Dal 20 agosto Massimiliano è stato, infatti, assunto dalla cooperativa "Terre di Puglia-Libera Terra" che coltiva terreni confiscati alla Scu. Lo incontriamo assieme a don Raffaele Bruno, cappellano del carcere di Lecce. «Come cristiani - ci dice il sacerdote - dobbiamo dire pane al pane e mafia alla mafia, ma sempre come cristiani dobbiamo anche dire che non ci sono limiti alla redenzione». E l'incontro con Dio non è certo stato secondario nella scelta di Massimiliano. «In carcere passavo fino a 4-5 ore in chiesa, ma Dio non ha aspettato che andassi da lui. É lui che è venuto da me». Anzi è certo del suo intervento.
«Penso che lui una mano l'ha messa quando non riuscivo a uccidere nessuno». Già perché Massimiliano, 42 anni, 17 dei quali passati in carcere (gliene mancano da fare altri tre e mezzo), tra le sette condanne ne ha anche una per sette tentati omicidi. Ha sparato, ha ferito, ma per fortuna senza mai riuscire a completare la sua missione di morte. Si dà una giustificazione tecnica: «È difficile sparare con un kalashnikov da una moto in corsa».
Ma soprattutto una molto più profonda. «Mi è andata bene. Avessi ucciso non so se sarei stato ora qui a parlare. Sarei anche io, come alcuni miei compagni, al "fine pena mai", all'ergastolo, o come altri avrei fatto il collaboratore di giustizia. Avrei distrutto la mia vita o gli affetti più cari. Invece qualcuno ci ha messo una mano facendomi sbagliare. Ne sono certo». Anche perché uno dei tentati omicidi è stato l'inizio della sua decisione di rompere con la violenza. É il 2002, in una delle spedizioni di morte, a Frigole rimane ferita una bimba di due anni. Massimiliano non se ne accorge subito.
«A Firenze dove eravamo fuggiti accendo la tv. Dicono che la bambina è in pericolo di vita. Allora lascio tutto, torno a Lecce per seguire da vicino le sue condizioni. Vado a vedere mia figlia, che ha la stessa età, e penso che poteva finire lei in mezzo a una sparatoria. Allora ho capito il valore della famiglia, del crescere i figli, di essere insieme a loro. Io, invece, li avevo fatti e poi ero sparito dopo la nascita. L'ultimo, il primo maschio, mi ha ritrovato come papà a 8 anni». Qui davvero cominciano a incrinarsi le certezze di Massimiliano.
Ma facciamo un passo indietro. Anzi molti. Per capire come si imbocca il tunnel dell'illegalità. Come si diventa mafioso. Una vita criminale che parte dall'adolescenza. Con un dramma. Quando ha 14 anni, il papà pescatore perde un braccio e l'udito nello scoppio di un proiettile di carrarmato tirato su dalla rete. «Non poteva più pagare la casa e il peschereccio che aveva appena comprato. Cominciai coi primi furti. Pensavo di essere di aiuto. Ma papà e mamma non hanno mai voluto quei soldi». Ma Massimiliano non si ferma e entra in un giro più grande. Rapine a uffici postali e banche. É la "banda Cerfeda", dal nome del loro capo Filippo Cerfeda.
«Ci conoscevamo tutti da bambini». Erano in sei, e si sentivano i più bravi. Così dopo le rapine passano alle estorsioni. Ma qualcuno denuncia e in tre vengono arrestati. Primi tre anni di carcere. Inutili. «Venti giorni dopo essere uscito ricomincio con le rapine. Dopo tre mesi vengo arrestato a Merano». Già perché, grazie a ottimi informatori, i "colpi" li andavano a fare anche al Nord. Dopo l'arresto scattano altri tre anni di galera. E si ricomincia, anche con la droga. «Ma era più quella che consumavamo di quella che vendevamo».
L'attività criminale va avanti fino a un nuovo arresto. «Usciamo più arrabbiati che mai e scoppia il casino. C'è concorrenza, non abbiamo più il controllo del territorio». É il periodo degli omicidi, dei tentati omicidi, delle bombe. «I soldi arrivavano in automatico. Per le estorsioni non hai più il problema di girare, hai solo il problema di contare i soldi. La nostra principale attività era quella di garantire la tranquillità sul territorio». A colpi di kalashnikov.
«Eravamo mafiosi nei comportamenti. Sono subentrati il potere e i soldi che danno alla testa. Decidere della vita di una persona. Quelli che andavamo ad uccidere erano solo un problema da risolvere». Parole terribili. «O lo facevi tu o lo facevano altri. L'unica cosa era non guardarli in faccia mentre sparavi».
A fermarli è un nuovo arresto e nel 2006 la condanna più pesante per associazione mafiosa. Proprio allora nasce il terzo figlio, il primo maschio. «Mi ha trasformato internamente. Si è ribaltato il mio modo di ragionare». Ad aiutarlo in questa scelta è la moglie. «Malgrado quello che ho fatto non mi ha mai lasciato. Ha tenuto duro chiedendomi di cambiare vita». «Una santa moglie - commenta don Raffaele -. Sola, con grandi momenti di sofferenza. Una donna straordinaria, non sempre valutata bene dal marito». In carcere, nel settore alta sicurezza, Massimiliano conosce il cappellano. «Gli ho rivelato la mia decisione: "A me non interessa più niente"».
Il sacerdote lo ascolta, lo aiuta. «Don Raffaele non usa le armi, usa la croce». Nasce così un percorso. Inedito. «Oltre alla collaborazione di giustizia - spiega il cappellano, che è anche responsabile regionale di Libera - è possibile un percorso di vera dissociazione e di avvio di una nuova vita. Una via sociale, non giudiziaria». Così arrivano passi concreti. «Nel corso del processo annuncio la mia dissociazione. Ma i magistrati non mi credevano». Poi in carcere l'adesione a Libera. «E lo feci sapere». Nel 2003 incontra don Luigi Ciotti. Ormai ha deciso.
«Sono disposto a darvi una mano». «Piano piano - dice ancora il sacerdote - abbiamo costruito l'ipotesi di passare dall'adesione ideale a quella concreta. E allora gli ho proposto: "Se ci credi davvero vieni a lavorare con noi"». E così avviene. Ma non si limita alle 8 ore. «Lavoro di più, faccio volontariato come risarcimento alla società per i danni che ho fatto». Lavoro duro. «Il primo giorno sono andato a raccogliere i pomodori. Quando ho finito ero distrutto. Sono andato a casa dove tutti mi aspettavano fuori dalla porta».
E la famiglia torna in tutte le sue parole. «A fine settembre è arrivata la busta paga, i primi soldi puliti che ho portato in famiglia. Non sono tanti, ma quello che ora mi importa è di riscattarmi assieme a loro». Davvero la sua vita sta cambiando. «Rientrando in carcere mi sento già libero: sto entrando e uscendo coi miei piedi. Ora non vedo l'ora di dormire per poi svegliarmi e uscire. Mi poggio e dormo, mentre prima dormivo un'ora e poi scattavo...». Tante piccole cose. «Il 16 settembre ho accompagnato mio figlio al primo giorno di scuola. Non lo avevo mai fatto».
E gli ex amici? «In carcere qualcuno storce il naso, qualcun altro mi ha tolto il saluto». «Ma è stato visto anche come un'opportunità. Sta facendo una scommessa. La liberazione non solo delle terre ma anche delle persone», aggiunge don Raffaele. Ne valeva la pena? Massimiliano risponde convinto. «Alla grande! Se vuoi fare un cambiamento radicale si può. Ognuno della sua vita fa la scelta che vuole. Ho fatto il criminale e ho pagato. Oggi ho fatto un'altra scelta».
L’Avvenire, 07.10.2010

giovedì 7 ottobre 2010

Dino Paternostro ha presentato una mozione consiliare per difendere l'ospedale di Corleone

MOZIONE CONSILIARE
Richiesta variazione pianta organica per il P.O. “Dei Bianchi” e del Distretto Sanitario n.40 di Corleone

IL CONSIGLIO COMUNALE DI CORLEONE

- Dopo aver visualizzato la proposta di rideterminazione della dotazione organica dell’ASP Palermo (bozza del 23/09/2010) e dopo un’attenta valutazione della stessa, ritiene di dover evidenziare le criticità consistenti in tutte le UU.OO. del Presidio Ospedaliero “Dei Bianchi” e del Distretto Sanitario 40, e contemporaneamente rileva la non conformità della stessa con le Linee Guida dettate dall’Assessorato alla Salute Siciliana, per quanto attiene all’assegnazione (minima e massima) del personale medico, infermieristico, di supporto, tecnico e amministrativo in tutte le Unità Operative.

C H I E D E

Al fine di poter garantire la continuità assistenziale e l’espletamento dei turni di guardia e di pronta disponibilità nel P.O. “Dei Bianchi“ di Corleone e nel Distretto Sanitario 40, i necessari conseguenti accorgimenti correttivi, che consentano di garantire il diritto alla Salute ai Cittadini del Corleonese. Oltre il personale medico, infermieristico, O.S.S., tecnico e amministrativo assegnate nelle varie UU.OO., secondo la sopra menzionata bozza, si richiede l’assegnazione di ulteriori unità di personale, secondo lo schema di seguito indicato:
Coordinamento F.I.O
N. 2 (due) Infermieri (oltre ai due assegnati)
N. 6 (sei) Amministrativi Cat D
N. 5 (cinque) Amministrativi Cat C
Chirurgia Generale U.O.C.
N. 5 (cinque) Infermieri (oltre ai 7 assegnati)
N. 2 (due) Medici (oltre ai 4 assegnati)
N.1 (uno) O.S.S. (oltre ai 5 assegnati)

Ostetricia e Ginecologia
N. 2 (due) Medici (oltre ai 4 assegnati)
N. 2 (due) Infermieri (oltre ai 6 assegnati)
N. 4 (quattro) O.S.S. (oltre ai 2 assegnati)
Patologia Clinica.
N.3 (tre) Medici (zero assegnati)
N.2 (due) Biologo ( oltre ad 1 assegnato)
N.5 ( cinque) Tecnici ( oltre ad 1 assegnato)
N.2 (due) Infermieri (zero assegnati)
Radiodiagnostica e tac.
N.5 (cinque) Medici (oltre ai 3 assegnati)
N. 1 (uno) Infermieri (oltre ad 1 assegnato)
N. 2 (due) A.S.S. (zero assegnati)
Richiesta attivazione dell’U.O.S. di Cardiologia
All’interno del P.O. di Partinico esiste già una U.O.C. di Cardiologia-UTIC, con rispettiva UOS per L’UTIC. Sembra superfluo, quindi, che nella U.O.C. di Medicina Interna dello stesso Presidio sia prevista una U.O.S. di Cardiologia. Tenuto conto che le malattie cardio-vascolari sono la prima causa di morte nel mondo, si ritiene che anche i cittadini della zona del Corleonese abbiano diritto alla tutela della salute. Per questo motivo ed anche per garantire la funzionalità di tutte Le Unità Operative del P.O. di Corleone, si chiede che la U.O.S. dell’Ospedale di Partinico venga spostata nel P.O. “Dei Bianchi” di Corleone, assegnando il relativo personale:

N.3 (tre) Medici (oltre ad 1 assegnato)

N.3 (tre) Infermieri (zero assegnati)

Farmacia ospedaliera (si richiede che la U.O.S. che gestisce l’attività ospedaliera e l’attività territoriale venga allocata all’interno del P.O.)

N. 2 (due) magazziniere (zero assegnato)

N.2 (due) A.S.S. (zero assegnato)
Medicina d’urgenza e pronto soccorso.

N. 2 (due) Infermieri (oltre ai 10 assegnati)

N. 1 (uno) A.S.S. (oltre ai 5 assegnati)
Pediatria.

N.1 (uno) Medico (oltre ai 4 assegnati)

N. 1 (uno) Infermiere (oltre ai 5 assegnati)

N.2 (due) O.S.S. (oltre ad 1 assegnato)

Lungodegenza.

N.3 (tre) Infermiere (oltre ai 6 assegnati)

N. 1 (uno) O.S.S. (oltre ai 5 assegnati)

Medicina Fisica e Riabilitativa.

N.2 (due) Infermiere (oltre ai 7 assegnati)

N.2 (due) O.S.S. (oltre ai 4 assegnati) SPDC.

N.2 (due) Medici (oltre ai 4 assegnati)

N.3 (tre) O.S.S. (oltre ai 3 assegnati)
Distretto Sanitario n.40 di Corleone:
N. 5 Amministrativi Cat. D (oltre i 2 assegnati)
N. 2 Amministrativi Cat. C (oltre i 3 assegnati)
N. 4 Infermieri (oltre ai 10 assegnati)
N. 4 Fisioterapisti (oltre ad 1 Assegnato, per scongiurare la chiusura dell’Ambulatorio di Fisioterapia di Bisacquino, e il ridimensionamento dell’attività di assistenza domiciliare - ADI).

IMPEGNA L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE

- A ricercare tutte le necessarie sinergie nel territorio per fare in modo che le richieste sopra descritte possano essere accolte dalla Direzione dell’Asp di Palermo e dall’Assessorato Regionale alla Salute;
- Ad operare affinché venga organizzata una manifestazione di protesta dell’intera zona del Corleonese per rivendicare la tutela della salute e il potenziamento delle strutture sanitarie, sia ospedaliere che territoriali.

La "Calabria sottosopra" di Nino Amadore

Pier Carmelo Russo
«La ’ndrangheta è viva e marcia insieme a noi». La frase era su uno striscione portato da una ragazza quindicenne nella marcia contro la ‘ndrangheta sabato 25 settembre a Regggio Calabria. Uno slogan che riassume completamente la situazione della Calabria di oggi e che Nino Amadore, giornalista del Sole 24Ore che da anni segue quella regione per le pagine locali del suo giornale, prova a indagare nel libro in uscita per i tipi della casa editrice Rubbettino di Soveria Mannelli (Catanzaro) che appunto si intitola “La Calabria sottosopra” (115 pagine, 12 euro). Il volume,in libreria domani, è un’inchiesta sulla contaminazione culturale che la ‘ndrangheta ha saputo organizzare, permeando con i suoi uomini tutto ciò che era possibile permeare. Un libro che prova a raccontare le conseguenze concrete del sottosviluppo mafioso cui non sono estranee le scelte e le azioni di una classe dirigente troppo a lungo legata direttamente ai famigli delle ‘ndrine o alla loro subcultura mafiosa. Ma anche una classe politica che si è allenata, a destra come a sinistra, a rappresentare interessi molto spesso opachi, molto spesso della ‘ndrangheta. Così la rappresentanza dell’illegalità è diventata un fatto naturale, scontato, tanto da far apparire ai più folle chi osa ribellarsi al potere costituito che qui non è lo stato ma il potere parallelo. La ‘ndrangheta, certo, ha capito prima degli altri che bisognava attrezzarsi e non farsi travolgere dal futuro: ha mandato i propri figli a studiare, ha occupato l’università più predisposta a certe operazioni come quella di Messina, ha fatto valere il proprio potere sul mercato degli scambi criminali con la mafia siciliana. La ‘ndrangheta si è quasi fatta classe dirigente in enti locali, province, unità sanitarie locali e mutuando i riti massonici o entrando a pieno titolo nelle logge ha portato i propri uomini nei salotti buoni. E così anche chi si credeva esente da certo malaffare criminale, come la provincia di Cosenza, non lo è più. Anche il migliore degli esperimenti come l’Università di Arcavacata a Rende, esempio di convento laico per una possibile e liberale classe dirigente del domani, ha dimostrato tutti i limiti.
Una regione che è un nodo da sciogliere perché è la dimostrazione concreta, dati alla mano e storie a bizzeffe, di come non sia possibile in Italia un vero federalismo fiscale che veda gli enti locali protagonisti per esempio della caccia agli evasori fiscali: ve lo immaginate un sindaco eletto in Calabria con i voti delle famiglie mafiose andare in cerca di evasori fiscali?O vi immaginate quel giovane primo cittadino, un professionista, il quale pur di essere eletto dice candidamente che la lotta alla ‘ndrangheta spetta allo Stato e non ai Comuni? Per non parlare degli imprenditori: alcuni (pochi) che provano a lanciare messaggi antimafia, qualche altro come Pippo Callipo che ne fa una battaglia umana, passionale, personale ma poi la butta in politica, qualche altro che pensa di darla a bere a tutti cercando alibi per continuare a fare quello che ha sempre fatto: il colluso. Pochissimi si presentano in questura o dai carabinieri per denunciare il racket o pressioni sugli appalti. C’è tutto questo e altro ancora nel libro di Amadore. Il quale indaga senza pregiudizi ma anche senza voler nascondere nulla. E guarda la Calabria ancora dal bar Bristol, il locale di fronte all’Università di Messina dove i giovani rampolli di ‘ndrangheta si fermavano a chiacchierare e qualche volta a decidere grandi strategie. Criminali.

mercoledì 6 ottobre 2010

La Rubrica "Sottolineando": sommario

Sulle "magnifiche sorti e progressive" della città di Corleone, imperando il sindaco Nino Iannazzo

Un "grande" risultato: dopo la "missione" a Palermo del sindaco Iannazzo, 24 posti in meno all'ospedale di Corleone...

Ecco cosa scriveva lo scorso 1° ottobre “Corleone in…forma”, periodico di informazione sull’attività amministrativa del Comune di Corleone, sotto il titolo “Ospedale: il Sindaco di nuovo in azione”: «Incontro interlocutorio fra gli amministratori dei Comuni del Corleonese e delle Petralie con il Direttore dell'ASP di Palermo Salvatore Cirignotta. A guidare la delegazione il sindaco di Corleone Nino Iannazzo che ha voluto incontrare il manager di Palermo in ordine alla nuova pianta organica del presidio ospedaliero dei Bianchi di Corleone. Nei giorni scorsi i primi cittadini del territorio ed i rappresentante dei lavoratori del nosocomio avevano valutato la proposta di pianta organica redatta dell'ASP rilevando alcune deficienze che potrebbero comportare dei disservizi. Oggi l'incontro per chiedere al Direttore la modifica del documento di programmazione. Un'apertura è stata data da Cirignotta che si è riservato di comunicare, nei prossimi giorni, le considerazioni in ordine alle proposte prospettate».
Dopo l’incontro, guidato dal sindaco di Corleone Nino Iannazzo, il direttore generale dell’Asp di Palermo ha modificato la pianta organica dell’ospedale di Corleone, inserendo un medico in più nell’Unità Operativa Semplice di Ostetricia e Ginecologia, ma cancellando l’Unità Operativa Semplice “Medicina fisica e riabilitazione”, con i seguenti posti di organico: 2 medici, 8 infermieri, 7 fisioterapisti, 2 logopedisti e 5 operatori socio-sanitari. “Il sindaco di nuovo in azione” ha ottenuto, quindi, un posticino di medico, in cambio della cancellazione di ben 24 posti di organico. Se i risultati sono questi, sarebbe stato meglio che il sindaco Iannazzo se ne fosse rimasto fermo e immobile a Corleone. E gli consigliamo di non tentare nuove azioni, per non farci correre il rischio che venga chiuso l’intero ospedale!

Battute a parte, è davvero manifestazione di infantilismo politico partire da soli per combattere la difficile e impegnativa battaglia per la difesa del nostro ospedale. L’esperienza dimostra che i risultati concreti e positivi si ottengono solo quando un territorio è capace di realizzare la massima unità tra le forze politiche, sindacali e sociali. Come nei mesi scorsi, quando la Cgil e il Pd hanno coinvolto tutte le forze disponibili, ottenendo due incontri con l’assessore Russo, il ripristino del servizio di salute mentale (Spdc) con più posti-letto e l’attivazione dell’Unità Operativa Semplice di Ostetricia e Ginecologia. Successivamente, il sindaco Iannazzo e il Pdl si sono assunti la grave responsabilità (per scopi di parte) di rompere quell’unità, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Prima che sia troppo tardi, bisognerebbe tornare immediatamente indietro. All’unità che consente di ottenere risultati. (d.p.)

martedì 5 ottobre 2010

Dino Paternostro, troncare con nettezza situazioni scaldalose

I beni confiscati alla mafia non devono servire per alimentare le clientele della politica, ma per produrre lavoro e sviluppo nella legalità. Altrimenti si tradisce lo spirito e la lettera della legge di iniziativa popolare n. 109/96, per la quale, 14 anni fa, più di un milione di cittadini si sono esposti con la propria faccia e la propria firma. Ad oggi, non pare che l’amministrazione comunale di Palermo, città dove insistono numerosi beni confiscati, si sia adoperata per promuovere la nascita di cooperative sociali di giovani, per affidare loro, con procedure pubbliche trasparenti, i beni confiscati, da cui ricavare lavoro e prodotti “puliti”. Bisogna invertire la tendenza e abbandonare la strada delle pratiche clientelari. Da subito, bisogna accentuare i controlli sui beni confiscati già assegnati, troncando con nettezza situazioni scandalose, come quelle denunciate da “Striscia”.

Dino Paternostro
Responsabile del Dipartimento Sicurezza e Legalità
della Camera del lavoro di Palermo

C'è il Papa. A Palermo il regime della bestemmia censura il vangelo e sospende la Costituzione

di Paolo Flores d'ArcaisChe il ducetto bestemmiatore sia disposto a tutto per riconquistarsi l'omertà della Chiesa gerarchica può apparire scontato. Che il suo ministro degli interni - di un partito che celebrava i riti pagani celtici! - fosse pronto, con analogo bacio della pantofola clericale, a calpestare i diritti costituzionali più elementari dei cittadini di Palermo, sarà solo l'ennesimo "stupro della Costituzione" che giustamente Di Pietro ha addebitato a questo regime ogni giorno più infame. Ma che di fronte a tanta enormità i giornali che si definiscono "indipendenti" non facciano titoli di scatola, che i loro editorialisti sempre pronti a sbandierare i "valori liberali" facciano spallucce, che le opposizioni Pd e altri Casini neppure si accorgano dello scempio compiuto, che il Capo dello Stato, che rappresenta l'unità della nazione sotto il vincolo della Costituzione, faccia lo gnorri, tutto questo lascia esterrefatti e agghiacciati. Ieri, infatti, a Palermo sono state sospese le libertà costituzionali, e tranne il sito ilfattoquotidiano.it non ha ancora protestato nessuno. Eppure è un vero e proprio "stupro della Costituzione" che venga rimosso uno striscione con cui dei cittadini volevano "manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altri mezzo di diffusione" (articolo 21 della Costituzione italiana, teoricamente non ancora abrogato). Quello striscione sarebbe stato un diritto anche qualora vi fosse stato scritto "Abbasso Ratzinger!" in tutte le sue articolazioni e varianti, sia chiaro. Invece riportava semplicemente una frase del vangelo di Matteo, 21,13: "La mia casa è casa di preghiera ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri", parole che per Ratzinger dovrebbero essere le parole stesse di Dio, ma che solerti funzionari del governo del bestemmiatore e del celtico hanno fatto rimuovere, facendo intervenire addirittura i vigili del fuoco. E non basta: nella libreria "Altroquando", una delle librerie storiche di Palermo, di quelle poche librerie (vale per tutta l'Italia) che sono ancora centri di vita culturale anziché meri supermarket del libro, era affisso un ironico cartello che diceva "I love Milingo". La polizia lo ha tolto, senza alcun mandato di alcun magistrato, violando non solo l'articolo 21 ma anche l'articolo 14, della Costituzione, che recita: "Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale". Di fronte a tutto questo non è accettabile il silenzio, i furbi "distinguo", le tiepide "prese di distanza". E se gli intellettuali corrivi tacciono, lanciamo dai siti web una raccolta di firme. Non solo. Chi ha ordinato di togliere striscioni e cartelli ha commesso un reato. E in Italia l'azione penale è obbligatoria. Ci domandiamo cosa aspetti la procura di Palermo ad aprire una inchiesta per individuare i responsabili di tali prevaricazioni, i mandanti - in tutta la loro catena gerarchica, perché i poliziotti obbediscono ai prefetti e i prefetti al ministro dell'interno e al primo ministro bestemmiatore - di questa inammissibile violazioni delle nostre libertà più elementari.
Firma l'appello alla Procura e al Capo dello Stato

sabato 2 ottobre 2010

Lettera aperta a Papa Benedetto XVI, in occasione della sua visita a Palermo

Papa Benedetto XVI 
Caro fratello, questa domenica Lei viene a Palermo, nella mia ospitale città; Le dò il benvenuto. Ma vorrei dirle, chiederle, brevemente alcune cose. Sa quanto costa la sua visita di poche ore? Dal locale "Giornale di Sicilia", risulta che il costo previsto è di almeno 2.000.000 di euro. Per una Messa, un "incontro con il clero", e un "incontro con i giovani". (Io non vado a messa, non sono ordinato, né sono giovane; dunque non potrò incontrarla?)
Le faccio un paio di esempi di questa spesa:
- amplificazione: 300.000;
- stuoia su cui camminerà in Cattedrale: 3.000;
- transenne: 200.000;
- copertura momentanea in sabbia degli artistici birilli del Foro Italico: 80.000;
Lo sapeva?... non è un po' scandalizzato?
Lo sa che cosa ci farebbe, questa sofferente città, con due milioni di euro? Sa, per esempio, quante famiglie vivono senza casa da un tempo insopportabilmente lungo? Sono centinaia. Sono gli ultimi di questa città. Sono quelli che avrebbero anche voluto incontrarla, parlare con Lei della loro condizione. Ma sa perché non potranno incontrarla, nemmeno da lontano?
Per 2 motivi:
- nel calendario della sua visita, sono previsti "il clero" e "i giovani"; ma non "i senza casa", o "gli ultimi" in genere. Chi ha fatto questo calendario? perché lo ha fatto così?
- questi "ultimi" volevano, nello stesso giorno della Sua visita, far sentire la propria voce (da sempre ferma ma pacifica) alla cittadinanza, organizzando una "piazza tematica" su questa città altra, emarginata, che si organizza e si difende come può dai disastri sociali e umani, provocati e iterati da una amministrazione a dir poco dissennata; ma la Questura lo ha vietato. Sa com'è, motivi di "sicurezza".
Quale sicurezza, fratello Ratzinger (mi creda, le rivolgo questo appellativo con sincerità, e con il rispetto che si deve a tutti)? La Sua, forse? ma Lei, non si sente abbastanza al sicuro, ospitato in questa città accogliente? Lei crede veramente che occorresse spendere per esempio 200.000 euro per transennare 25 km di strada, per separare fisicamente Lei dalla popolazione?
Che cosa si vuole separare? Chiediamocelo, vuole?
Lo sa quanto era ordinata e visitata la Cattedrale, anni fa, nei giorni in cui i senza casa - anziani, donne incinte, bambini piccoli... persone pericolose - la presidiarono per protestare contro una situazione insostenibile? lo sa quanto era pulita, nonostante l'allora Arcivescovo De Giorgi avesse ordinato la chiusura dei bagni (un'azione genuinamente cristiana)?
Quale sicurezza?
Forse la "sicurezza" di tenere separate le coscienze delle persone: di nascondere, agli occhi di parte della città, e dopodomani ai Suoi occhi, questa altra città che soffre e protesta civilmente.
Vorrei che Lei sapesse tutte queste cose. E che si esprimesse in modo forte e chiaro contro questo orrore, contro questa umiliazione continua dell'umanità. Con la stessa veemenza di Gesù che cacciò i mercanti dal tempio; o almeno con la stessa veemenza di Karol Wojtyla, che qui vicino tuonò senza mezzi termini contro la mafia. Vorrei che uscisse a piedi dal suo percorso asettico di poche ore, dalla sua carissima stuoia, dalle scandalose transenne, e che provasse a Incontrare la città che soffre. Vorrei che queste non fossero soltanto fantasie un po' deliranti di un anziano laico, che in quanto tale non avrà titolo per "incontrarla". Anche se ne avessi titolo, non vorrei mai "incontrarla" là dove non c'è spazio e voce per gli ultimi. Le auguro, con un filo sottilissimo di speranza, di Incontrare la vera Palermo.
Benvenuto, comunque.