giovedì 30 luglio 2009

Corleone. Il campo di lavoro antimafia. Tour dello Spi-Cgil della Sicilia e della Toscana

Ieri è stata una giornata molto intensa per la delegazione dello SPI-CGIl e la troupe televisiva di AIDA in visita al nostro progetto. Siamo convinti che chi condivide con noi questa "avventura" e anche chi lavora nella comunicazione sociale deve comprendere fino in fondo il valore di questa esperienza. Pertanto sempre proponiamo un percorso intenso e faticoso convinti che deve emergere la passione e la convinzione che il loro sostegno o il loro intervento comunicativo è una cosa concreta, utile ed efficace. Poi come spesso capita , i sorrisi, la vitalità e le passioni dei giovani volontari e dei soci della Cooperativa lavoro e Non Solo riescono ad affascinare e rendere meno faticoso anche un tour di 18 ore. Non potevamo non incontrare Rita Borsellino e quindi ci siamo diretti nel pieno del "Solleone" a Palermo, presso Villa Travia, dove, in attesa della celebrazione di un matrimonio, Rita è stata intervistata. In questa occasione ci siamo trovati in una situazione meravigliosa ricca di sfarzo e di spreco economico. Mi sono domandato: forse ha ragione Berlusconi la crisi economica non c'è più!! Ma il dibattito che è seguito alle 18 nel bene confiscato a Corleone, promosso dallo SpiCgil della Toscana e della Sicilia insieme alle compagne lavoratrici e oggi pensionate della Lebole di Arezzo, ci ha riportato alla realtà fatta di ingiustizie, sfruttamenti e rinuncie nel passato e precariato e incertezze del presente. L'inagurazione della Cucina donata dallo Spi/Cgil è stata effettuata nel migliore dei modi; infatti abbiamo gustato un' ottima caponata al forno preparata da Lina e da Franco. Alla cucina abbiamo messo una targhetta per ricordare l'impegno economico e di condivisione di tanti pensionati della Toscana convinti che il futuro si può costruire solo conoscendo e apprezzando il nostro passato ricco di belle storie. Infatti a loro il ruolo non solo di gestire la cucina ma anche di trasmettere memoria ai giovani volontari. Vi sono storie fatte di conquiste sociali, di impegno e di lotte che tanti ragazzi non conoscono, che nessun libro scolastico riporta. Noi ci impegniamo a favorire questo incontro con un bel percorso di partecipazione popolare tra generazioni. Anche questo è il nostro progetto Liberarci dalle Spine.
Maurizio Pascucci
Esecutivo Arci Toscana
Coordinatore Progetto Liberarci dalle Spine
FOTO. Dall'alto: i volontari ascoltano i sindacalisti; si "legano" le viti; la cucina donata dal Sindacato Pensionati Cgil della Toscana.

mercoledì 29 luglio 2009

Corleone. La "Bottega dei sapori" a casa Provenzano...

di Cosmo Di Carlo
Corleone - Approvati dal Ministero dell’Interno nell’ambito del Pon Sicurezza 2007 – 2010 due progetti per un ammontare complessivo di un milione e mezzo di euro. Serviranno per realizzare una moderna azienda agricola, un centro di stoccaggio per vino, olio e cereali, ed una “ Bottega dei Sapori” che sarà ospitata in un immobile confiscato a Corleone al boss Bernardo Provenzano. L’azienda agricola ed il centro di stoccaggio invece sorgeranno su terreni ed altri fabbricati da ristrutturare, un tempo proprietà del mafioso Giovanni Genovese, in contrada “ Don Tommasi” a San Cipirello . “I due progetti sono stati presentati al Ministero degli Interni dal “Consorzio Sviluppo e Legalità” che gestisce i beni confiscati alla mafia nei Comuni di Altofonte, Camporeale, Corleone, Monreale, Piana degli Albanesi, Roccamena, San Cipirello,San Giuseppe Jato. “Viene premiato il lavoro svolto dal 2000 al 2006 - dice Lucio Guarino, direttore del consorzio sviluppo e legalità – i nostri progetti sono stati ritenuti validi e finanziati e possono essere esportati a livello nazionale”. Soddisfatto il presidente pro tempore di Sviluppo e Legalità Antonino Giammalva , sindaco di San Cipirello. “La promozione della legalità genera occupazione e sviluppo. – spiega - Decine di giovani lavorano sui terreni confiscati a temuti e potenti boss di “cosa nostra”. Vino, pasta olio e cereali vengono commercializzati in tutta Italia. Questo ci inorgoglisce e ci stimola a proseguire nel nostro impegno”. La casa di Via Colletti, che sorge nel centro storico di Corleone, confiscata alla famiglia di Bernardo Provenzano ospiterà una vetrina dei sapori. Qui sarà possibile acquistare pasta, olio, vino, legumi e conserve . Vi sarà uno spazio destinato ad incontri e dibattiti, ed una biblioteca con volumi, e film documentari sulla mafia e sui movimenti e gli uomini che nel tempo le si sono opposti. “Nascerà un vero e proprio museo dedicato alla storia della mafia ed al fenomeno mafioso – spiega Nino Iannazzo, sindaco di Corleone – che sarà gestito da alcune associazioni che insieme hanno dato vita al “Laboratorio della Legalità”. Si tratta di un gruppo di giovani e meno giovani, tutti di Corleone, a conferma di un percorso di risveglio culturale già ben avviato. Cittadini che vogliono farsi portavoce delle istanze di una terrà che ha scelto di liberarsi dal giogo mafioso”. Fermenti di legalità dalle terre di mafia, si potrebbe dire, alimentati dal Ministero degli Interni, che ci ha messo i soldi, ma anche dai 50 giovani toscani che in questi giorni lavorano sui campi di pomodori dall’alba al tramonto al fianco dei ragazzi delle cooperative antimafia dell’Arci e di Libera . Vento fresco arriva da Roma ad alimentare la speranza e ad allontanare le nubi e le paure dei giorni scorsi, quando furono tagliate le gomme all’auto di Calogero Parisi, presidente della cooperativa “Lavoro e non Solo”. (*codi*)

martedì 28 luglio 2009

Mafia: 10 anni a Mercadante, radiologo ed ex deputato F.I. in Sicilia. I pm: "Pienamente inserito nel sodalizio criminoso"

Per il gip che, nel 2006, ne ordinò l'arresto, sarebbe stato tanto vicino al capomafia Bernardo Provenzano da far parte di "una Cosa sua", più che di Cosa Nostra. Un'espressione che dà l'idea dello stretto legame che univa il padrino di Corleone a Giovanni Mercadante, il medico eletto all'Assemblea Regionale Siciliana nelle fila di Forza Italia, oggi condannato per mafia a 10 anni e 8 mesi. La sentenza è stata pronunciata dai giudici della II sezione del tribunale di Palermo poco prima delle 2 di notte, dopo oltre 17 ore di camera di consiglio.Radiologo, 61 anni, parente dello storico boss di Prizzi Tommaso Cannella, Mercadante sarebbe stato medico di fiducia delle cosche e punto di riferimento dei boss nel mondo della politica. Indagato già in passato, la sua posizione venne archiviata per due volte. Poi, nel 2006, la svolta nell'inchiesta e l'arresto. A carico dell'ex deputato, alle accuse dei pentiti, si sono aggiunte le intercettazioni ambientali realizzate nel box del capomafia Nino Rotolo, luogo scelto dai clan per i loro summit. Nei colloqui, registrati per oltre un anno, il nome di Mercadante è emerso tante volte, collegato sempre ad affari illeciti.Per i pm Nino Di Matteo e Gaetano Paci, l'ex parlamentare azzurro sarebbe stato "pienamente inserito nel sodalizio criminoso". Una conclusione riscontrata anche dalle testimonianze di numerosi collaboratori di giustizia: da Nino Giuffrè ad Angelo Siino e Giovanni Brusca. Giuffrè racconta di essersi rivolto al medico, su indicazione dello stesso Provenzano, per fare eseguire alcuni esami clinici al latitante agrigentino Ignazio Ribisi. Siino parla del professionista come di "uno dei più grossi favoreggiatori" del padrino di Corleone; Brusca lo definisce "persona disponibile".Per gli inquirenti, il medico-politico avrebbe anche fornito "il proprio ausilio e la disponibilità della struttura sanitaria della quale era socio (l'Angiotac, ndr) per prestazioni sanitarie in favore degli associati mafiosi, anche latitanti, e la redazione di documentazione sanitaria di favore, ricevendo, in cambio, l'appoggio elettorale di Cosa nostra in occasione delle regionali in cui era candidato".
E un ruolo strategico in Cosa nostra avrebbe avuto anche uno degli otto coimputati di Mercadante, Nino Cinà, oggi condannato a 16 anni, l'uomo dei tanti misteri, della presunta trattativa tra Stato e mafia: reggente del mandamento di Resuttana, sarebbe stato "mediatore e pacificatore". Tra le stragi del '92, prima; poi, nel 2005, quando avrebbe tentato di evitare lo scontro fra le cosche a seguito del rientro dei cosiddetti scappati", mafiosi esuli negli Usa dai primi anni '80 per sfuggire alla mattanza dei corleonesi.Medico di Toto' Riina e di Bernardo Provenzano, Cinà è già stato condannato due volte per associazione mafiosa: "Ma le condanne e la detenzione - secondo i magistrati - non hanno interrotto la sua partecipazione alle attività mafiose".Tra gli imputati condannati, anche il boss di Torretta, Lorenzino Di Maggio, ritenuto vicino ai capimafia palermitani Sandro e Salvatore Lo Piccolo; Bernardo Provenzano, accusato in questo processo di tentata estorsione. Assolto, invece, Marcello Parisi, figlio di Angelo Parisi, ritenuto vicino al capomafia Nino Rotolo. Secondo la Procura la sua candidatura al Consiglio comunale di Palermo sarebbe stata sponsorizzata da Rotolo e Cinà che si sarebbero rivolti per un appoggio politico proprio a Mercadante. Ma i giudici non hanno ritenuto sufficienti le prove portate a suo carico dai pm.Nel processo scaturito dall'operazione Gotha, che portò all'arresto di colonnelli e gregario di Bernardo Provenzano, accanto ai vertici delle cosche, c'erano anche quattro commercianti palermitani: accusati di avere negato le richieste di pizzo. Solo uno di loro è stato condannato.
(La Repubblica, 28 luglio 2009)

lunedì 27 luglio 2009

Patto mafia-Stato, Violante dai pm: "Mori mi disse: Ciancimino vuol parlarle"

di Salvo Palazzolo
L'ex presidente dell'Anti-mafia rifiutò l'incontro. Nell'inchiesta sulla "trattativa" indagati Riina e il suo medico Cinà

Arrivano i primi riscontri al racconto di Massimo Ciancimino sulla trattativa fra Cosa Nostra e pezzi delle istituzioni durante la stagione delle stragi del 1992. Il figlio dell'ex sindaco aveva parlato di "garanzie politiche" chieste da suo padre al colonnello Mario Mori: "Della trattativa doveva essere informato il presidente della commissione antimafia Luciano Violante. Un altro misterioso interlocutore aveva invece detto che il ministro Mancino già sapeva". Queste rivelazioni di Massimo Ciancimino sono apparse nei giorni scorsi sui giornali. Dopo averle lette, Violante ha contattato i magistrati di Palermo, chiedendo di essere ascoltato. Ieri mattina, davanti al procuratore aggiunto Antonio Ingroia e al sostituto Roberto Scarpinato, ha spiegato che per davvero qualcuno gli chiese di incontrare "in modo riservato, a quattr'occhi" Vito Ciancimino. La proposta arrivò da Mario Mori subito dopo la sua nomina all'Antimafia, nel settembre 1992. Violante ha messo a verbale di aver rifiutato qualsiasi contatto con il sindaco boss. È questa l'ultima novità nell'inchiesta sulla trattativa, che al momento è ritornata ad avere come indagati Totò Riina e il suo medico Antonino Cinà. Nessuno, prima di Massimo Ciancimino, aveva mai parlato delle "garanzie Mancino e Violante" chieste da don Vito per portare avanti la trattativa con gli ufficiali del Ros. Non ne aveva fatto cenno Vito Ciancimino, quando nel 1993 aveva raccontato al procuratore Caselli alcuni passaggi dei suoi rapporti con i carabinieri. Di garanzie politiche non ha mai parlato neanche il generale Mori, poi diventato capo del Sisde e oggi consulente per la Sicurezza del Comune di Roma mentre è imputato a Palermo per la mancata cattura del latitante Provenzano. Mori e il capitano Giuseppe De Donno sono stati sempre categorici: "Parlammo con Ciancimino solo per indurlo alla collaborazione". I carabinieri negano di aver mai preso in consegna il "papello" con le richieste di Riina e di averlo girato nei palazzi delle istituzioni.
Ma le ombre sono rimaste. Sul reale contenuto del dialogo fra Ciancimino e gli ufficiali del Ros, sugli altri protagonisti ancora senza nome, e soprattutto sui tempi della trattativa. Mori sostiene di aver incontrato Ciancimino dopo la strage Borsellino, prima ci sarebbero stati solo dei contatti preliminari fra De Donno e Massimo Ciancimino. Ma il giovane Ciancimino smentisce e riempie quei mesi di particolari. Un pool di magistrati, che comprende anche Nino Di Matteo e Paolo Guido, sta cercando riscontri al fiume di dichiarazioni. Ciancimino, si ribadisce in Procura, non è un collaboratore. Resta un imputato, condannato per riciclaggio, che si difende. o fra Ciancimino e gli ufficiali del Ros, sugli altri protagonisti ancora senza nome, e soprattutto sui tempi della trattativa. Mori sostiene di aver incontrato Ciancimino dopo la strage Borsellino, prima ci sarebbero stati solo dei contatti preliminari fra De Donno e Massimo Ciancimino. Ma il giovane Ciancimino smentisce e riempie quei mesi di particolari. Un pool di magistrati, che comprende anche Nino Di Matteo e Paolo Guido, sta cercando riscontri al fiume di dichiarazioni. Ciancimino, si ribadisce in Procura, non è un collaboratore. Resta un imputato, condannato per riciclaggio, che si difende.
(La Repubblica, 24 luglio 2009)

sabato 25 luglio 2009

L'Estate Corleonese 2009

Per ingrandire il manifesto, cliccaci sopra...

giovedì 23 luglio 2009

Giuliana. Arrestato per maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale un pregiudicato

di Cosmo Di Carlo
Giuliana - Aveva reso la vita impossibile alla moglie ed ai figli, con angherie di ogni genere, per questo è stato arrestato dai carabinieri un cinquantasettenne, pregiudicato di Giuliana (PA), Giuseppe Guella; per lui l’accusa è pesante “atti persecutori, maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale”, reato più noto come ”stalking”.
L’arresto, è stato ordinato dal G.I.P. del Tribunale di Termini Imerese su richiesta della Procura della Repubblica, ed è giunto a conclusione di una lunga indagine dei Carabinieri della Stazione di Giuliana e del Nucleo Operativo e Radio mobile della Compagnia di Corleone che da un anno seguivano le mosse del pregiudicato. I carabinieri ieri sera hanno atteso Guella al settore arrivi dell’aeroporto Falcone e Borsellino e qui lo hanno ammanettato, appena sceso da un volo proveniente da Londra. Finiva così l’incubo della moglie e dei figli che avevano trovato il coraggio, 12 mesi fa, di raccontare al maresciallo Giuseppe Bono, comandante la stazione carabinieri di Giuliana, le violenze subite. “Aiutatemi – aveva detto tra le lacrime al sott’ufficiale dell’arma – mio marito ha reso un inferno la vita mia e quella dei miei figli”. La donna riferì di anni di sopraffazioni e violenze, pedinamenti, insulti, minacce, telefonate notturne e provocazioni. Giuseppe Guella veniva descritto come soggetto dall’indole violenta che non esitava a passare alle vie di fatto anche per piccoli dissensi. Scattarono le indagini. I carabinieri acquisivano anche i filmati delle telecamere interne del supermercato che avevano documentato numerosi episodi di violenza. Le molestie non si fermarono neanche quando la moglie ed i figli decisero di andare a vivere in un’altra abitazione. L’uomo pedinava i familiari e non perdeva occasione di ingiuriarli e offenderli ovunque, anche in pubblico. Secondo le risultanze delle indagini, obbiettivo primario di Giuseppe Guella, era quello di rientrare in possesso di un piccolo supermercato che i suoi familiari gestiscono in Giuliana. E, per costringerli a cedere l’attività commerciale, talvolta si soffermava all’ingresso del negozio e cercando di dissuadere i clienti dal farvi la spesa, nell’intento di far calare gli incassi e costringerli a cedergli l’attività. Le indagini inoltre hanno permesso di rinvenire anche una pistola calibro 9 di marca “Tanfoglio” e 49 proiettili detenuti illegalmente e trovati in perfetto stato di conservazione. L’arma e le munizioni sono state sequestrate. La pistola verrà sottoposta all’esame balistico presso il RIS dei Carabinieri di Messina per verificare se sia stata utilizzata per compiere qualche reato. Guella è stato ristretto preso il carcere “Cavallacci” di Termini Imerese a disposizione dell’Autorità Giudiziaria. (*Co.Di*)
FOTO. I carabinieri con l'arma sequestrata.

mercoledì 22 luglio 2009

Il campo di lavoro di Corleone. La nostalgia dei volontari nel penultimo giorno di lavoro...

La sveglia è suonata alle sei e mezzo per i noi volontari e, dopo un’abbondante colazione, ci siamo diretti nei campi per il lavoro mattutino… Era respirabile un’aria di triste nostalgia che circondava ogni nostro movimento e ogni nostro sguardo, tutto ciò ci rendeva facilmente commuovibili e consapevoli della fine di questa bellissima e significativa esperienza. Oggi infatti è stato il nostro ultimo giorno di fatica nei territori confiscati alla mafia. In questi giorni abbiamo convissuto assieme confrontandoci con le nostre personalità e, non senza difficoltà, abbiamo raggiunto un equilibrio positivo che ha permesso a 32 persone di combattere il fenomeno mafioso in un clima sereno e di collaborazione. Dopo lo squisito pranzo preparato dai bravissimi volontari dello SPI abbiamo visitato Portella della Ginestra, dove due anziani signori ci hanno raccontato il terribile fatto del primo maggio del 1947 quando il bandito Giuliano sparò in mezzo alla folla dei lavoratori in festa per difendere gli interessi dei padroni e dei mafiosi e per spaccare il movimento contadino per la conquista delle terre. Ancora oggi non si è fatta pienamente luce su chi furono i mandanti di questo atto terroristico e lo stato come allora pensiamo abbia il dovere di fare luce su quella terribile esperienza. Dopo la visita al luogo della strage ci siamo diretti alla Casa del Popolo di Piana degli Albanesi, lì abbiamo assistito alla presentazione di un libro che parla del bandito Giuliano e della strage di Portella. Anche oggi, come in altri momenti in queste due settimane, abbiamo vissuto sensazioni molto forti, portiamo con noi un altro pezzo di storia di questa terra così dilaniata da terribili esperienze e stragi che hanno colpito chi, in questo ultimo cinquantennio, ha cercato di combattere il fenomeno mafioso. Al ritorno a casa abbiamo cenato e dopo cena ci siamo riuniti per esprimere ognuno di noi ciò che abbiamo provato in questi quindici giorni, cosa ci ha portato qua ma soprattutto cosa ci portiamo a casa, e cioè un bagaglio di esperienze, incontri, lavoro nei campi, rapporto con i soci della Cooperativa… in questo momento così emozionante le parole sono difficili da esprimere così come è complicato descrivere ciò che abbiamo provato ma di una cosa siamo tutti certi, siamo orgogliosi di aver partecipato e contribuito ad un progetto ma soprattutto ad un’idea così importante per la Sicilia; ci siamo resi conto che non è facile lavorare in un contesto così difficile, soprattutto per i ragazzi della Cooperativa, e siamo convinti che il resto dell’Italia, dalla Toscana alla Lombardia al Lazio e via dicendo, continuerà a dare il proprio appoggio ad un’idea di Sicilia più democratica e libera dalla mafia.
Chi leggerà ci scuserà l’emozione e la confusione di questo ultimo pezzo di diario.. in bocca al lupo al lavoro della Cooperativa, un abbraccio a Calogero, Franco, Salvatore e tutti quelli che lottano ogni giorno per una Sicilia migliore, ci auguriamo che ogni anno sempre più ragazzi decidano di partecipare ai campi… grazie a tutti…
Diario 21 luglio 2009
P.S. domani giorno di pulizia generale in attesa della partenza…

martedì 21 luglio 2009

Intervista a Dino Paternostro dopo la bocciatura della mozione sull'acqua pubblica

Intervista a Dino Paternostro, consigliere comunale presentatore della mozione sull’acqua pubblica

Intervista al sindaco Nino Iannazzo dopo la bocciatura della mozione sull'acqua pubblica

Intervista a Nino Iannazzo, sindaco di Corleone

Intervista a Giuseppe Crapisi dopo la bocciatura della mozione sull'acqua pubblica

Intervista a Giuseppe Crapisi, presidente “Dialogos”

Ato rifiuti in Sicilia, il governo presenta la nuova riforma, mentre desta scalpore il bilancio in attivo dell'Ato di Ragusa

di Ignazio Panzica
Mentre la giunta regionale di Governo sforna un ddl alternativo a quello già depositato all’ARS, può accadere che il presidente “dell’Ato rifiuti Ragusa” pubblichi, in mezza pagina del Giornale di Sicilia, una inserzione, nella quale reclamizza il “fatto straordinario” che il suo Ato ha il bilancio in attivo, addirittura, per 8 milioni e 267mila euro.
Il capace amministratore ragusano si chiama Gianni Vindigni. Gli Ingredienti principali del segreto del suo successo sono: non aver fatto assunzioni di personale più del necessario; aver fatto partire in modo serio ed attrezzato la raccolta differenziata dei rifiuti; aver preteso che i comuni/soci pagassero sempre all’ATO le loro quote di corrispettivo periodico; aver pagato puntualmente i creditori dell’ATO senza far maturare inutili interessi e rivalutazioni; essere riuscito a creare discariche pubbliche a gestione Ato, senza essere costretto a pagare per lo smaltimento dei rifiuti in impianti di privati. In sostanza, Vindigni ha solo seguito “le regole” a cui si dovrebbero attenere ogni amministratore d’ATO. Sorge spontanea la domanda : e perché altri 19 Ato su 27 non l’hanno fatto? E perché l’hanno potuto fare ? Ricordiamo che, adesso, il buco ufficiale di tutti i bilancio degli Ato rifiuti in Sicilia è all’incirca di un miliardo e cento milioni di euro. E vale poco l’osservazione dell’Assessore Armao, secondo la quale, però, in compenso, la massa dei loro crediti sfiori i 700 milioni di euro. Del nuovo disegno di legge del governo regionale, si sa soltanto che gli Ato diminuiranno da 27 a 9, uno per provincia, più un decimo dedicato alla gestione dei rifiuti sulle isole minori. Altresì, pare che Lombardo voglia consentire a tutti gli ATO di poter disporre di finanza diretta (ossia non più raccogliendo le quote di partecipazione periodica dei singoli comuni), assumendo la gestione della TIA. Ossia, riscuotendo in prima persone la nuova “tariffa dei rifiuti”, direttamente dai singoli cittadini, quindi mandando in pensione il sistema di tassazione “TARSU comunale”. Una nuova previsione di legge nazionale, che si era deciso di “congelare” per tre anni, cioè sino alla fine dell’anno in corso. Una “innovazione”, per carità, interessante che, però, pone due problemi oggettivi. Anzitutto, il tasso di affidabilità della riscossione diretta di un “tributo”, in una terra dove “l’evasione” dei pagamenti è una realtà usuale; insomma la percentuale di TIA che alla fine risulterà raccolta, riuscirà a coprire l’intero costo del servizio raccolta rifiuti, incluso gli ammortamenti societari ? Ed in caso di differenza tra spese ed entrate, chi pagherà ? Nel caso del “regime TARSU” pagavano (e pagano) i Comuni. Siccome non crediamo di avere il monopolio del buonsenso e del corretto uso della matematica di base, parrebbe annunciarsi all’orizzonte dei siciliani la concreta ipotesi di un futuro, progressivo, inasprimento, delle “cartelle esattoriali” per il pagamento del servizio raccolta rifiuti. Pare, inoltre, che dal nuovo ddl governativo per gli ATO rifiuti non sembra emerga con chiarezza, come si siano posti in condizioni gli ATO di poter pagare i debiti arretrati, né quale struttura assuma l’onere della vigilanza sulle situazioni finanziare dell’intero sistema regionale. Un universo variegato, dove l’ATO Ragusa chiude il bilancio consuntivo 2008-2009 con otto milioni di euro di attivo, mentre il l’ATO Coinres dell’area di Palermo-provincia , è finito sotto commissariamento, per un deficit gravissimo, e senza neanche aver mai comprato un solo automezzo per la raccolta dei rifiuti, ancorché il Coinres risulti il titolare diretto del servizio. E raccontiamola questa storia degli Ato in Sicilia ! Partiti in 27, oggi, ben 19 sarebbero già al limite del fallimento , o sono di fatto già falliti. Cinque , risulterebbero in leggero attivo. Tre in pareggio o con perdite spiegabili di lieve entità. Abbiamo usato il condizionale, perché l’ARRA, l’Agenzia regionale anche competente sul controllo degli obiettivi degli ATO rifiuti, ha fatto si una ricognizione sulla situazione alla data odierna. Ma si è limitata a commissariare solo dieci ATO al disastro, e a diffidarne altri tre, che si incamminano sulla stessa via. Gli esiti dell’intera ricognizione, sono perciò, “top secret” , perché l’intera documentazione non è stata ancora trasmessa al Presidente della Regione. Ricordiamo, che gli ATO sono società consortili SpA, composte dai comuni del comprensorio – i cui sindaci oltre a formare l’assemblea dei soci, possono far parte del CDA - con l’obbligo di espletamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Il punto critico del modello, che ha portato al cortocircuito, si trova esattamente nella facoltà dei Comuni di nominare sia gli amministratori, che i revisori dei conti del Consorzio. Cioè, coloro che in modo occhiuto dovrebbe esercitare il controllo sulla gestione economica e finanziaria degli ATO. Così, i sindaci dei comuni, per lo più, hanno fatto carne di porco di “queste nomine” negli ATO. Per lo più, usandole per compensazioni di natura politica locale : “non ti candidi contro di me alle prossime amministrative, ed allora ora Ti nomino all’ATO”; “sei stato trombato alle elezioni Ti consolo nominandoti all’ATO”; “vuoi un assessore in più che non ti posso dare nella giunta Ti do un consigliere del Cda dell’ATO”; “sei mio parente, l’anno prossimo ti devi sposare e sei disoccupato, ti nomino all’ATO”. Senza mai aver rispettato, né accertato, competenze e compatibilità di legge. Una palese e pubblica indecenza. Infine, quando un comune non paga puntualmente, o non paga mai la sua quota annuale all’ATO, è accaduto di sovente che l’ATO abbia chiuso entrambi gli occhi. Posto che – in caso di inadempienza dei comuni - gli amministratori ATO che avrebbero dovuto mettere in mora gli enti locali/soci ed inadempiente, troppo spesso, erano gli stessi sindaci, che nelle loro funzioni di primi cittadini, incassavano la TARSU, ma non pagavano l’ATO. Per nota di cronaca, vi segnaliamo che i quattro ATO rifiuti a livello di “eccellenza”, che risultano segnalati per come hanno svolto e svolgono bene la loro mission sono : Ato Ragusa, Ato Sciacca, Ato Palermo 5 (Termini Imerese), Ato Trapani 2 ( Mazara del Vallo). Dice Lombardo, per il nuovo ddl sul sistema regionale degli Ato rifiuti, abbiamo scelto di presentare un progetto di legge snello solo di un articolo e tre commi, contro i dieci articoli di quello da tempo già depositato all’ARS. Scegliendo la via di semplificare, abbiamo deciso di completare il disegno della riforma, accertato che potremo intervenire a completamento, utilizzando dei decreti amministrativi. Parimenti, nel ddl ci siamo preoccupati di provvedere a semplificare le procedure destinate all’autorizzazione per l’apertura di nuove discariche.
SiciliaInformazioni, 21 luglio 2009

Il tragico incidente sulla SS 188 Giuliana-Sambuca: il ponte è senza guard-rail!

di Cosmo Di Carlo
Giuliana - Lo hanno ribattezzato il “ponte della morte”. E sorge in contrada “ Piscopo”, al km 103 della strada statale 188 che collega Giuliana con Sambuca. Qui, nella sera di sabato, in un tragico incidente stradale, hanno perso la vita Agostino Randazzo, 46 anni, fratello di don Rino Randazzo, arciprete di Ghibellina, che lavorava per la società «Belice Ambiente»;
Antonino Salamanca, 56 anni di professione meccanico e Salvatore La Rocca di 38 anni, che era dipendente dell’oleificio «Frantoio del Belice». I tre amici di Partanna, appassionati di Rally, stavano tornando da Giuliana (PA) a Partanna (TP), dopo aver assistito alle prove speciali sul percorso del Rally del Sosio, quando la loro autovettura ha urtato sul bordo del ponte ed è uscita di strada precipitando da un’altezza di quindici metri. È ancora un mistero la dinamica dell’incidente e l’esatta traiettoria della macchina prima dell’impatto con la bassa spalletta del ponte. Nessun evidente segno di frenata, nessuna traccia evidente è stata lasciata dalle gomme della “Mercedes Classe C” su cui viaggiavano le tre vittime. A poche ore dalla tragedia sull’asfalto resta solo il tracciato con il gesso, segnato dai carabinieri della compagnia di Sciacca, che hanno effettuato i rilievi, e la macchia di olio coperta dalla sabbia, lasciata dalla vettura dopo il suo recupero. Sulla spalletta nel punto dell’impatto l’abrasione provocata dai cerchi dell’auto, poi più nulla. Difficile fare delle ipotesi, un malore del conducente, una distrazione, l’eccessiva velocità nell’affrontare quella che sembra una semplice curva. Solo ipotesi comunque. Il dato più appariscente che si nota è che, sino a pochi metri dal ponte in direzione Sambuca–Giuliana, è stato collocato un guard-rail rinforzato con doppia fascia, a protezione di una scarpata di tre metri. Se solo avessero allungato la dislocazione delle protezioni metalliche sino alle spallette del ponte, oggi non ci sarebbero tre morti da piangere. Ad indicare la pericolosità del tratto solo quattro pannelli con strisce bianche e nere trasversali all’ingresso di ciascun lato del manufatto. Nel rimanente tratto di strada la segnaletica è rara, quando non è assente del tutto. A terra nessuna striscia segna il limite della carreggiata, poiché la strada 188 è stata asfaltata di recente. Si sono appresi intanto altri particolari sui soccorsi. A dare l’allarme per primi, pare siano stati alcuni agricoltori che a bordo di una mietitrebbiatrice stavano operando su un fondo vicino e che avrebbero visto sparire nel vuoto la macchina. Sarebbe stato impossibile, infatti, dalla strada vedere il fondo della scarpata e la macchina sotto il ponte. Per primi sono arrivati sul posto i carabinieri della stazione di Giuliana e di Sambuca che hanno smistato l’allarme al 118 ed all’elisoccorso. In poco tempo sono arrivate 4 ambulanze e un elicottero che è atterrato su un campo di grano a ridosso della strada. Ma purtroppo nessuno degli occupanti la vettura era più in vita. Una delle tre vittime è stato sbalzato fuori dall’abitacolo della automobile nell’impatto. Grande lavoro per la squadra dei Vigili del Fuoco del distaccamento di Corleone che hanno lavorato sino a tarda notte per recuperare la macchina ed i corpi delle vittime. (*codi*)

Nella foto (Di Carlo) un brigadiere dei carabinieri indica il punto dell’impatto dell’auto con il bordo del ponte.

La vedova Borsellino rompe il silenzio: "Perdono gli assassini solo se dicono la verità"

La signora Agnese ricorda quel 19 luglio 1992 e gli uomini della scorta: "Paolo voleva salvarli". Grasso alla commemorazione di Boris Giuliano: pazzesco un patto Stato-mafia
PALERMO - Dopo 17 anni di silenzio Agnese Borsellino, la moglie del magistrato ucciso nella strage in via D'Amelio, ha deciso di infrangere la regola del silenzio che si era imposta, parlando di suo marito, del suo esempio, di quel 19 luglio 1992 e di chi ha dato la vita per proteggerlo. La vedova ha ricordato quei giorni in un'intervista a La Storia siamo noi, per una puntata dal titolo "57 giorni a Palermo. La scorta di Borsellino", in onda domani alle 23.30 su RaiDue. Anche Pietro Grasso torna a parlare della strage di via D'Amelio dopo le recenti dichiarazioni di Totò Riina e dopo la riapertura dell'inchiesta sull'omicidio del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta. Rivelazioni da cui sono scaturite reazioni e commenti - da Nicola Mancino all'epoca ministro dell'Interno, al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia - proprio nei giorni della marcia delle agende rosse e dell'anniversario della strage. "Pensare che si possa venire a un qualsiasi accordo con la mafia è fuori da qualsiasi considerazione" ha detto il procuratore nazionale antimafia Grasso a Palermo, a margine della deposizione di una corona di fiori in memoria di Boris Giuliano, ucciso dalla mafia il 21 luglio 1979. "La cosa terrificante - ha aggiunto Grasso - è che a Palermo si muore mentre si fa il proprio dovere. Quello di Boris Giuliano è stato l'inizio di una serie di morti terribili, con l'eliminazione fisica di tutti coloro che ostacolavano l'organizzazione mafiosa".
Nell'intervista a La storia siamo noi, Agnese Borsellino racconta a distanza di tanti anni che il marito era sicuro che la sua morte avrebbe scosso le coscienze. "Due giorni prima che lui morisse mi ha detto: 'Io non vedrò i risultati del mio lavoro, li vedrete voi dopo la mia morte, perché la gente si ribellerà, si ribelleranno le coscienze degli uomini di buona volontà ". Parlando degli assassini che hanno ucciso suo marito, la signora Agnese ammette di essere pronta a perdonarli ma solo se avranno il coraggio di dire la verità, tutto quello che sanno. "Se mi dicono perché l'hanno fatto, se confessano, se collaborano con la giustizia, perché se arrivi a una verità vera, io li perdono, devono avere il coraggio di dire chi glielo ha fatto fare, perché l'hanno fatto, se sono stati loro o altri, dirmi la verità, quello che sanno, con coraggio, con lo stesso coraggio con cui mio marito è andato a morire". "Di fronte al coraggio io mi inchino - aggiunge - da buona cristiana dire perdono, ma a chi?, io perdono coloro che mi dicono la verità ed allora avrò il massimo rispetto verso di loro, perchè sono sicura che nella vita gli uomini si redimono, con il tempo, non tutti, ma alcuni si possono redimere è questo quello che mi ha insegnato mio marito". Poi ricorda quel 19 luglio del 1992. "Era una giornata normale, mio marito si sentiva molto stanco, voleva accontentare me e i miei figli e fare una passeggiata a Villa Grazia, al mare. Alle 16.30 quando sono venuti gli altri sei uomini della scorta, è andato dalla sua mamma perché doveva accompagnarla dal medico. Ha baciato tutti, ha salutato tutti, come se stesse partendo. Lui aveva la borsa professionale, e da un po' di giorni non se ne distaccava mai. Allora mi è venuto un momento di rabbia, quando gli ho detto: 'Vengo con te'. E lui 'No, io ho fretta'; io: 'Non devo chiudere nemmeno la casa, chiudo il cancello e vengo con te'. Lui continuava a darmi le spalle e a camminare verso l'uscita del viale, allora ho detto: 'Con questa borsa che porti sempre con te sembri Giovanni Falcone'. Sono arrivata a dire queste ultime parole". Agnese parla poi degli uomini della scorta. "Per me erano persone, come per mio marito che facevano parte della nostra famiglia e vivevano quasi in simbiosi con noi, condividevamo le loro ansie, i loro progetti. Un rapporto oltre che di umanità, di amicizia e di reciproca comprensione e rispetto".
(La Repubblica, 21 luglio 2009)

lunedì 20 luglio 2009

Parla Mancino dopo il "messaggio" di Riina: "Patto con la mafia, lo Stato disse no"

di FRANCESCO VIVIANO
e ATTILIO BOLZONI
"Mai saputo in anticipo dell'arresto". Il vicepresidente del Csm negli anni '90 è stato ministro dell'Interno. "La trattativa fu respinta anche come ipotesi di alleggeri mento dello scontro con Cosa Nostra". "Una giornalista mi chiese: chi prenderete? Risposi: Riina: era un auspicio, non una rivelazione"

ROMA - Le ultime indagini sulle stragi siciliane dicono che Paolo Borsellino è morto intorno alla "trattativa" fra mafia e Stato. "O l'hanno ucciso perché non la voleva, o l'hanno ucciso proprio per costringere lo Stato a venire a patti", ha spiegato il procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari, il magistrato che ha riaperto le indagini sui massacri di Palermo scoprendo un intreccio fra boss e servizi segreti. La "trattativa" al centro di tutti i misteri e di tutti i delitti. Ne hanno parlato pentiti come Giovanni Brusca, l'assassino di Falcone. Ne sta parlando Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito. Ne ha parlato anche il capo dei capi Totò Riina. Ciascuno con la sua versione, ciascuno con la sua verità. Ma ora e per la prima volta, dopo le nuove rivelazioni sulle stragi e le polemiche che ne sono seguite, di quella "trattativa" parla un uomo delle istituzioni, un protagonista dell'estate di 17 anni fa. E' Nicola Mancino, oggi vice presidente del Consiglio superiore della magistratura e al tempo - dal 1992 al 1994 - ministro dell'Interno. Mancino fa capire che la "trattativa" c'è stata o, comunque, qualcuno l'avrebbe voluta. Però, l'ex ministro dichiara a Repubblica: "Noi l'abbiamo sempre respinta. L'abbiamo respinta anche come semplice ipotesi di alleggerimento dello scontro con lo Stato portato avanti dalla mafia. La riprova di tutto questo sta nella politica di fermezza adottata dal precedente governo e da quello in cui ero responsabile del Viminale". L'ex ministro non va oltre, conferma il tentativo fatto da Cosa Nostra di scendere a patti - fermare le stragi in cambio dell'abolizione del carcere duro e della legge sui pentiti - ma sostiene che lo Stato non ha accettato quel ricatto. Poi Mancino torna sull'affaire della cattura di Riina, sulle vecchie e nuove "esternazioni" del boss che vorrebbe sapere proprio da lui "come faceva a conoscere prima che sarebbe stato arrestato". Già qualche anno fa il capo dei capi chiese ai giudici della Corte di Assise di Firenze - quelli che hanno condannato i boss di Cosa Nostra per le stragi del '93 - di ascoltare come teste l'ex ministro. Riina ha citato ancora Mancino e quella vicenda. Racconta oggi il vicepresidente del Csm: "Io non ero a conoscenza della cattura di Riina, come lui afferma, una settimana prima. Era solo un auspicio, ma anche una precisa direttiva impartita a tutte le forze dell'ordine con l'urgenza che la situazione richiedeva". Ricorda: "E fu questa la risposta che diedi anche ai giornalisti della stampa estera convocati al Viminale l'11 gennaio 1993, cioè quattro giorni prima della cattura di Riina. Una giornalista mi chiese: chi prenderete? Risposi: Riina. Coincidenza volle che Riina fosse arrestato dai carabinieri pochi giorni dopo. Ma se fossi stato al corrente dell'imminente arresto sarei stato così ingenuo da dirlo pubblicamente, dirlo con il rischio di far fallire l'operazione?". Trascinato in un mistero da Riina e trascinato nel vortice palermitano dalle accuse lanciate da Salvatore Borsellino, il fratello del procuratore ("E' una persona indegna che mente, mente spudoratamente dicendo di non avere incontrato Paolo il primo luglio del 1992 quando a Paolo venne prospettata quella scellerata ignobile trattativa con lo Stato"), l'ex ministro risponde ancora: "Se ci fosse stato davvero quell'incontro, perché mai avrei dovuto nasconderlo? E poi: che cosa si sarebbero dovute dire due persone che prima non avevano mai avuto rapporti fra di loro, il primo giorno dell'insediamento di un ministro al Viminale?". E' la sempre la "trattativa" che divide e che resta la chiave per decifrare la Palermo dell'estate 1992. Nega di averla portata avanti addirittura Riina, cioè quello che ha organizzato le stragi e - fra una strage e l'altra - ha presentato a qualche emissario dello Stato il famigerato "papello" con le richieste mafiose. "E' passata sopra di me", ha fatto sapere fuori con il suo avvocato Luca Cianferoni. "Io consegnerò il papello" ha promesso qualche giorno fa Massimo Ciancimino al procuratore Antonio Ingroia. "Per saperne di più chiedete al figlio di Ciancimino e ai carabinieri", ha spiegato ancora Riina. "Io sono pronto a incontrarlo per un confronto", ha ribattuto ieri il rampollo dei Ciancimino a Klaus Davi, conduttore del programma KlausCondicio su You Tube. Un botta e risposta quasi surreale. C'è solo da immaginare quali sorprese e quali colpi di scena potrebbe riservare un faccia a faccia "all'americana" tra il "contadino" di Corleone e il figlio scapestrato di don Vito. In tutto questo convulso rincorrersi di informazioni e di accuse e di chiarimenti, la decodificazione autentica delle "esternazioni" di Riina sul coinvolgimento di pezzi dello Stato viene dal procuratore di Caltanissetta Sergio Lari: "E' un messaggio alla mia procura". Il capo dei capi ha parlato con i giornali ma, in realtà, voleva parlare con chi sta indagando. Non è cosa da poco: è stato il primo "discorso" del boss di Corleone dopo 17 anni.
La Repubblica, 20 luglio 2009

Clamorosa dichiarazione del boss Totò Riina sul delitto Borsellino: "L'hanno ammazzato loro"

di ATTILIO BOLZONI e FRANCESCO VIVIANO
Dopo diciassette anni di silenzio totale parla il boss di Corleone. E sulla strage di via d'Amelio accusa i servizi e lo Stato
TOTÒ RIINA, l'uomo delle stragi mafiose, per la prima volta parla delle stragi mafiose. Sull'uccisione di Paolo Borsellino dice: "L'ammazzarono loro". E poi - riferendosi agli uomini dello Stato - aggiunge: "Non guardate sempre e solo me, guardatevi dentro anche voi". Dopo diciassette anni di silenzio totale il capo dei capi di Cosa Nostra esce allo scoperto. Riina lo fa ad appena due giorni dalla svolta delle indagini sui massacri siciliani - il patto fra cosche e servizi segreti che i magistrati della procura di Caltanissetta stanno esplorando. Ha incaricato il suo avvocato di far sapere all'esterno quale è il suo pensiero sugli attentati avvenuti in Sicilia nel 1992, su quelli avvenuti in Italia nel 1993. Una mossa a sorpresa del vecchio Padrino di Corleone che non aveva mai aperto bocca su niente e nessuno fin dal giorno della sua cattura, il 15 gennaio del 1993. Un'"uscita" clamorosa sull'affaire stragi, che da certi indizi non sembrano più solo di mafia ma anche di Stato. Ecco quello che ci ha raccontato ieri sera l'avvocato Luca Cianferoni, fiorentino, da dodici anni legale di Totò Riina, da quando il più spietato mafioso della storia di Cosa Nostra è imputato non solo per Capaci e via Mariano D'Amelio, ma anche per le bombe di Firenze, Milano e Roma.
Avvocato, quali sono le esatte parole pronunciate da Totò Riina?

Sono proprio queste: "L'ammazzarono loro"? "Sì, sono andato a trovarlo al carcere di Opera questa mattina e l'ho trovato che stava leggendo alcuni giornali. Neanche ho fatto in tempo a salutarlo e lui, alludendo al caso Borsellino, mi ha detto quelle parole... L'ammazzarono loro...".

E poi, che altro ha le ha detto Totò Riina?

"Mi ha dato incarico di far sapere fuori, senza messaggi e senza segnali da decifrare, cosa pensa. Lui è stato molto chiaro. Mi ha detto: "Avvocato, dico questo senza chiedere niente, non rivendico niente, non voglio trovare mediazioni con nessuno, non voglio che si pensi ad altro". Insomma, il mio cliente sa che starà in carcere e non vuole niente. Ha solo manifestato il suo pensiero sulla vicenda stragi".
Ma Totò Riina è stato condannato in Cassazione per l'omicidio di Borsellino, per l'omicidio di Falcone, per le stragi in Continente e per decine di altri delitti: che interesse ha a dire soltanto adesso quello che ha detto?

"Io mi limito a riportare le sue parole come mi ha chiesto. Mi ha ripetuto più volte: avvocato parlo sapendo bene che la mia situazione processuale nell'inchiesta Borsellino non cambierà, fra l'altro adesso c'è anche Gaspare Spatuzza che sta collaborando con i magistrati quindi...".

Le ha raccontato altro?

"Abbiamo parlato della trattativa. Riina sostiene che è stato oggetto e non soggetto di quella trattativa di cui tanto si è discusso in questi anni. Lui sostiene che la trattativa è passata sopra di lui, che l'ha fatta Vito Ciancimino per conto suo e per i suoi affari e insieme ai carabinieri: e che lui, Totò Riina, era al di fuori. Non a caso io, come suo difensore, proprio al processo per le stragi di Firenze già quattro anni fa ho chiesto che venisse ascoltato Massimo Ciancimino in aula proprio sulla trattativa. Riina voleva che Ciancimino deponesse, purtroppo la Corte ha respinto la mia istanza".

E poi, che altro le ha detto Totò Riina nel carcere di Opera?

"E' tornato a parlare della vicenda Mancino, come aveva fatto nell'udienza del 24 gennaio 1998. Sempre al processo di Firenze, quel giorno Riina chiese alla Corte di chiedere a Mancino, ai tempi del suo arresto ministro dell'Interno, come fosse a conoscenza - una settimana prima - della sua cattura".

E questo cosa significa, avvocato?

"Significa che per lui sono invenzioni tutte quelle voci secondo le quali sarebbe stato venduto dall'altro boss di Corleone, Bernardo Provenzano. Come suo difensore, ho chiesto al processo di Firenze di sentire come testimone il senatore Mancino, ma la Corte ha respinto anche quest'altra istanza".

Le ha mai detto qualcosa, il suo cliente, sui servizi segreti?

"Spesso, molto spesso mi ha parlato della vicenda di quelli che stavano al castello Utvegio, su a Montepellegrino. Leggendo e rileggendo le carte processuali mi ha trasmesso le sue perplessità, mi ha detto che non ha mai capito perché, dopo l'esplosione dell'autobomba che ha ucciso il procuratore Borsellino, sia sparito tutto il traffico telefonico in entrata e in uscita da Castel Utvegio".

Insomma, Totò Riina in sostanza cosa pensa delle stragi?

"Pensa che la sua posizione rimarrà quella che è e che è sempre stata, non si sposterà di un millimetro. Ma questa mattina ha voluto dire anche il resto. E cioè: non guardate solo me, guardatevi dentro anche voi".
(La Repubblica, 19 luglio 2009)

sabato 18 luglio 2009

L'anniversario di Paolo Borsellino. "Senza verità non c'è giustizia". Palermo e quelle stragi del '92

Nel pomeriggio "la marcia delle agende rosse" per ricordare Paolo Borsellino. La sorella Rita: "C'è puzza di rassegnazione, ma non dobbiamo arrenderci"
PALERMO - "Una verità che si attende da 17 anni: troppi per potere aspettare ancora. Solo con la verità si può avere giustizia. Questo quadro inquietante che si sta delineando sulle stragi del '92 e del '93 merita la massima attenzione, sia a livello nazionale che europeo". Rita Borsellino non ha mai avuto dubbi. Meno che mai ora che è stata riaperta l'inchiesta sul tritolo mafioso che diciassette anni fa ha insanguinato la Sicilia. L'eurodeputato Pd dice questo mentre partecipa assieme a duecento persone a un corteo antimafia che si è tenuto nel pomeriggio a Palermo. Una manifestazione che qualcuno ha già chiamato "la marcia delle agende rosse", perché tutti hanno in mano un'agenda simile a quella custodita gelosamente dal magistrato e sparita nel nulla dopo l'attentato di via d'Amelio. Rita Borsellino sente "puzza di rassegnazione. Non e' possibile rassegnarsi. Non abbiamo questo diritto, dobbiamo continuare a impegnarci giorno per giorno perché solo l'impegno quotidiano puo' costringere chi ha il compito di fare delle scelte a intraprendere la strada giusta. Ci vuole il coraggio della rabbia, della denuncia". L'europarlamentare si riferisce alle parole pronunciate ieri da procuratore aggiunto Vittorio Teresi, che ha denunciato minore rabbia di una parte della magistratura nella lotta alla mafia rispetto al 1992. "Dal '92 ad oggi si è fatto poco - ha detto Salvatore Borsellino, fratello del magistrato - Sembra quasi che qualcuno stia pagando delle cambiali alla mafia. Oggi finalmente, dopo anni di tenebre, la lotta che si sta conducendo nelle procure di Palermo e Caltanissetta sta andando nel verso giusto. Si stanno acquisendo elementi positivi. Fino ad oggi ci sono stati tanti depistaggi, ora si sta lavorando per coprire la complicità di pezzi deviati delle istituzioni".
(La Repubblica, 18 luglio 2009)

Corleone. La maggioranza di centroderstra ha bocciato la mozione sull'acqua pubblica

di Giuseppe Crapisi
Il Sindaco Iannazzo ha detto: "Cari cittadini e caro Comitato per l’acqua pubblica aviti ragiuni ma va manciati squarata”. I consiglieri al rimorchio della Giunta Iannazzo si astengono dal voto e bocciano l’ordine del giorno sull’acqua pubblica. Vergognoso!!!
Sarà stato per la data, venerdi 17, o sarà stato perché la politica corleonese è così, ma sta di fatto che nel Consiglio Comunale abbiamo assistito a qualcosa di tragicomico perché anche nell’essere ridicoli c’è un limite e invece lo si è superato abbondantemente, tragico perché stiamo parlando di un bene come l’acqua che è un bene primario. Finalmente venerdi è stato convocato il Consiglio Comunale per discutere dell’ordine del giorno proposto dal Comitato per l’acqua pubblica, sottoscritto e presentato dai Consiglieri Colletto, Di Giorgio, Marino, Paternostro e Schillaci. La mozione doveva e voleva essere un modo per spronare la politica corleonese a riflettere sulla vicenda APS. Il consiglieri Di Giorgio, Marino e Paternostro hanno duramente criticato la fretta con la quale il Sindaco di Corleone ha ceduto le reti idriche e fognarie della nostra città. Hanno ribadito il fatto che se le bollette sono aumentate esponenzialmente dall’altro i servizi non ci sono, mancanza di uno sportello, ritardi nelle riparazioni delle condutture. Si è parlato delle assunzioni fatte e non fatte. Si è parlato della storia di questo paese che negli anni ha assicurato a questa comunità, con enormi investimenti, una rete idrica e fonti di approvvigionamenti non solo bastevoli per il Comune di Corleone ma anche per poter rifornire altri paesi. Il tutto in cambio di cosa? Caro Sindaco è questo che non si capisce, vogliamo valutare a quanto ammonta questo patrimonio che abbiamo regalato? Sulle tariffe non c’è alcun dubbio, nessuno ha saputo smentire gli aumenti, anzi si è capito che gli aumenti continueranno nei prossimi sette anni, cioè questo è stato il primo aumento. Il Sindaco Iannazzo ha preso la parola dopo il Consigliere Paternostro e devo dire che l’ho visto molto confuso. Ha fatto una bella dietrologia sulla normativa, nazionale, regionale e su come sono andati i fatti eppure nemmeno lui è obiettivo come vuol far credere. Infatti, una cosa è la legge che impone una gestione attraverso gli ATO che in virtù della legge sono soggetti pubblici e che in molte realtà italiane funzionano, altra cosa è la scelta fatta dall’ATO, di affidare il servizio ad un’impresa privata, che poi sarà APS. Per il Comune di Corleone, tale scelta fu fatta e condivisa dall’amministrazione Nicolosi, durante la quale lo stesso Iannazzo era vicesindaco. Una cosa è il rispetto della legge, condivisibile o meno, del Consiglio comunale nel 2002 altra cosa è decidere di affidare il servizio ad un privato. Il Sindaco ha ribadito che lui condivide non solo la mozione, anche se andrebbe limata, ma che condivide anche lo spirito del movimento per l’acqua pubblica, e si giustifica dicendo che lui ha rispettato la legge e che non poteva fare altrimenti, eppure dimentica che gli altri Sindaci del comprensorio non hanno ceduto la rete ad APS, che sono in prima linea nel movimento per l’acqua pubblica e non sono stati commissariati. Non lo sono anche perché c’è un ricorso al TAR proprio sulla vicenda ritenuto ammissibile e che quindi sospende gli effetti giuridici di cui parla il nostro primo cittadino. Non si capisce se APS è conveniente o meno, ma forse lo sa ma non può e non vuole dirlo pubblicamente. Da un lato dice che è costretto, che è per l’acqua pubblica, ma poi dice che i comuni che hanno cedute le reti sono in maggioranza. Ma è proprio questo il tema, cioè se i Sindaci contrari fossero la maggioranza, se questi con il loro peso riuscissero a fare approvare il testo presentato all’assemblea regionale allora ci può essere la volontà politica di ritornare ad una gestione pubblica dell’acqua. Ultima difesa del sindaco Iannazzo è stato quello del non voler rifiutare gli investimenti fatti per Corleone, bene poi dall’Ing. Delfino, dell’ATO, abbiamo saputo che nella tariffa c’è una quota parte che paghiamo noi per gli investimenti, allora è una presa in giro se gli investimenti saranno in parte pagati da noi cittadini. Siamo sicuri di una cosa che APS è efficiente su un aspetto, nell’inviare le bollette salate. APS è stata unico soggetto che si è presentato al bando di gara, ha dettato le sue leggi, ha in mano tutte le reti idriche della Provincia di Palermo con un valore che farebbe impallidire anche i grandi magnati, senza rischiare nulla. Caro Sindaco è vero che la proprietà rimane pubblica ma la gestione no, è privata, chi ce lo dice che fra trenta anni avremo la proprietà sì ma di un colabrodo? Ma il bello è venuto alla fine quando da parte di tutti maggioranza e opposizione si è detto che la nostra mozione era condivisa da tutti, ma andava limata e corretta nella premessa, ma alla fine il colpo di scena. Infatti , il Presidente ha detto che la mozione non poteva essere modificata in quanto mancava Salvatore Schillaci che aveva sottoscritto la mozione e quindi era immodificabile. Ci si aspettava allora uno scatto di orgoglio da parte di tutti e quindi un voto unanime a favore della mozione. Invece tutti i consiglieri della maggioranza esclusi quelli dell’opposizione si sono astenuti. Con quest’atto Sindaco e consiglieri hanno pensato di salvare la faccia, ma il dato politico è che hanno bocciato la mozione che prevedeva questo: di impegnare il Sindaco e la Giunta. A porre in essere tutte le azioni politiche, tecniche, giuridiche e amministrative per ritornare a gestire il Servizio Idrico Integrato del Comune di Corleone, modificando la scelta sbagliata e contraria agli interessi dei cittadini, che ha portato il Sindaco a “regalare” ad Acque Potabili Siciliane Spa il prezioso patrimonio idrico della Città, costato impegno, sacrifici e lotte agli Amministratori comunali e ai Cittadini negli anni ’80; Di unirsi al “Comitato Cittadino per l’Acqua Pubblica” nel chiedere che, comunque, Acque Potabili Siciliane Spa sospenda il pagamento di tutte le bollette idriche, informi gli utenti del nuovo sistema di tariffazione, applichi l’art. 18, comma 6), della Convenzione, prevedendo un’articolazione temporale non inferiore a 7 anni “entro la quale progressivamente allineare le tariffe attuali a quella media di riferimento”. Con quest’atto hanno confermato che questi consiglieri, che questa Giunta, a parte le parole è a favore di APS, dei disservizi e delle bollette salate. Certamente noi la battaglia la continueremo.
Giuseppe Crapisi
http://www.corleonedialogos.it/

Vergogna. Il sindaco di Corleone Nino Iannazzo si è "svenduto" ad Acque Potabili Siciliane!

di DINO PATERNOSTRO
La mozione sull’acqua pubblica è stata bocciata dalla maggioranza di centro-destra (Pdl-Udc) che amministra Corleone. Nella nottata di venerdì, dopo un dibattito durato oltre 5 ore, insieme a me hanno votato a favore della mozione i consiglieri Leo Colletto, Franco Di Giorgio e Lillo Marino, che l’avevano presentata. Si sono astenuti, invece, Vincenzo Labruzzo, Mario Lanza, Fausto Iaria, Vincenzo Macaluso, Antonio Vella, Nicola Bentivegna, Francesco Piazza e Vincenzo Iannazzo. Il centro-destra, d'accordo col sindaco Iannazzo, ha scelto una linea di difesa morbida, per non sfidare le ire dei cittadini, sapendo comunque che l’astensione avrebbe avuto lo stesso effetto del voto contrario. Iannazzo e la sua maggioranza avevano l’occasione di riconoscere davanti alla città di essersi sbagliati e di voler riparare all’errore. Potevano intraprendendo il difficile cammino per provare – insieme al Comitato cittadino e all’opposizione - a riappropriarsi del servizio idrico. Invece, hanno scelto di “svendersi” ad Acque Potabili Siciliane.Bisogna ricordare che, nel lontano 1969, l’allora commissario straordinario del comune di Corleone, Vincenzo Zanghì, primo cugino di don Vito Ciancimino, “svendette” l’acqua pubblica della nostra città all’Eas, un carrozzone clientelare che nell’arco di pochi anni assetò i cittadini corleonesi, portando le bollette alle stelle. Negli anni ’80, la classe dirigente della città di Corleone, dopo aver strappato il servizio idrico all’Ente acquedotti, è riuscita a renderlo efficiente e capace di erogare acqua 24 ore su 24. Adesso, dopo 40 anni, il sindaco Iannazzo, come allora il commissario Zanghì, è passato alla storia per avere nuovamente “svenduto” ad una Ditta privata l’acquedotto cittadino, provocando l’immediato raddoppio delle bollette dell’acqua per i cittadini. E tutto questo per qualche “piatto” di lenticchie, per qualche piccola operazione clientelare e parentale, di cui dovrebbero vergognarsi e che i cittadini non gli perdoneranno mai. Da parte nostra, continueremo la battaglia affinché l’acquedotto torni ad essere pubblico e, nell’immediato, affinché Acque Potabili Siciliane ribassi le tariffe idriche incredibilmente alte.

mercoledì 15 luglio 2009

"Paolo Borsellino sapeva troppo!"

Il fratello del magistrato ucciso dalla mafia commenta le nuove dichiarazioni di Ciancimino Jr su un presunto patto tra Stato e Cosa nostra. Si parla di un papello conservato nella cassaforte dell'ex sindaco di Palermo: "Paolo ne era a conoscenza e per questo fu eliminato"
PALERMO - "Mio fratello era stato sicuramente informato dagli organi istituzionali della trattativa in corso tra mafia e Stato, perchè erano in mano sua le indagini sull'assassinio di Falcone e sulla mafia in Sicilia. Non poteva non esserne informato". Così a '24 Mattino' su Radio 24 Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo Borsellino, ucciso il 19 luglio 1992 in via D'Amelio commenta le nuove rivelazioni sul patto tra Stato e mafia fatte da Massimo Ciancimino."Sostengo dal 1997 - ha aggiunto Borsellino - che il motivo dell'accelerazione della eliminazione di Paolo sia stato il fatto che lui si era messo di traverso rispetto a questa trattativa nel momento in cui ne fu informato, e questo avvenne al ministero dell'Interno il primo luglio 1992. A quel punto era necessario, per poter continuare a condurre la trattativa, eliminare l'ostacolo principale, Paolo Borsellino, ed eliminarlo in fretta".Ciancimino jr. ha detto che una copia del famoso 'papello' era nella cassaforte di casa sua a Mondello ma i carabinieri durante una perquisizione evitarono di controllare: "C'è da chiedersi il perchè non sia stata aperta quella cassaforte - ha detto Borsellino - Credo che sia lo stesso motivo per cui dopo l'arresto di Riina è stato lasciato incustodito il suo rifugio, finchè squadre della criminalità organizzata hanno potuto ripulire la casa e prelevare la cassaforte, nella quale c'erano cose che non dovevano venire fuori"."Ciò che dice Ciancimino jr a proposito della sua cassaforte non perquisita mi fa venire in mente che con queste casseforti nella storia della mafia e degli apparati che le ronzano intorno ci sono sempre problemi. Mi vengono in mente la cassaforte di Dalla Chiesa o il pc e le agende elettroniche di Giovanni Falcone, ispezionati da qualcuno e ripuliti"Il "papello" sarebbe la lista di richieste che la mafia avrebbe avanzato nel 1992 fra le stragi Falcone e Borsellino a uomini delle istituzioni per vantaggi in favore di Cosa nostra."Ciancimino non è un pentito - ha detto Borsellino - ma uno che vuole salvare il salvabile, quel famoso tesoro del padre di cui evidentemente gli hanno sequestrato solo una minima parte. Ora ha scelto di collaborare e sta dando un validissimo contributo, ma per patteggiare la sua impunità".Sulla ricorrenza di quest'anno, il 19 luglio Salvatore Borsellino ha riferito che "quest'anno ho voluto rompere con le manifestazioni avvenute negli ultimi 17 anni quando ci hanno continuato a imporre i funerali di Stato che rifiutammo nel 1992 - ha detto Borsellino -. Ancora ce li impongono con autorità" che vengono in via D'Amelio, mettono corone, pronunciano discorsi spesso ipocriti"."Faremo invece una manifestazione in cui se qualcuno si dovesse presentare, e spero che non lo faccia, a mettere corone e pronunciare discorsi di circostanza, sarà accolto da un mare di persone che avranno in mano un'agenda rossa. Quell'agenda rossa di mio fratello sparita dalla macchina poco dopo l'attentato".
La Sicilia, 15/07/2009

Profumo di nuovo dai giovani siciliani del Pd...

di Agostino Spataro
Profumo di nuovo, d’aria fresca e di grandi passioni, di buona politica. Se l’olfatto non m’inganna, mi paiono un po’ queste le fragranze che emana il documento programmatico dei giovani siciliani del Pd. Seguiremo l’andamento del nuovo cammino, tuttavia credo si possa già dire che l’intuizione è la più indicata per aprire una fase politica nuova e far uscire la Sicilia dalla situazione stagnante in cui si trova. Si, stagnante. Anche se c’è in atto un generale fervore.
A destra il duo Micciché - Dell’Utri si sta dando da fare (con scarso successo) per creare un partito-beffa che, facendosi scudo dei problemi del sud, possa garantire altri dieci anni di sopravvivenza politica a chi, stando al governo, questi problemi li ha solo aggravati. Realtà o chimera, il “partito del sud” sempre più somiglia ad una sorta di albero della cuccagna (“ la ‘ntinna” in siciliano) a cui ognuno si arrampica per accaparrarsi il premio posto in cima. Ossia una buona fetta dei voti dei meridionali delusi dalla politica fallimentare degli ultimi governi nazionali e regionali. Lombardo ha capito che da solo non potrà mai riuscire, perciò vorrebbe assemblare una squadra di scalatori eterogenei che, affastellandosi l’uno sull’altro, riescano più agevolmente a toccare la cima. Una scena già vista da bambino, nella piazza del mio paese. Mastro Bernardo, il caposquadra, ch’era dotato di una forza bovina, si piazzò in basso, abbracciato al palo insaponato, sopra di lui saltarono i primi due scalatori. Il terzo sicuramente avrebbe toccato la cima. Tra la folla c’era un uomo della concorrenza che, per far fallire quel tentativo, gettò la sigaretta che stava fumando fra pelle e camicia di mastro Bernardo, al limite del suo sforzo sovrumano. Il poveretto capì l’antifona, tuttavia tentò di resistere. Ma il calore era diventato fuoco vivo che divorava le sue spalle coperte da un folto pelame. Nella piazza s’udì un urlo atroce, bestiale. Mastro Bernardo crollò a terra e sopra di lui i tre soci che, nel frattempo, avevano ben ripulito il palo dal sapone.
L’uomo della concorrenza si fece avanti e, in solitudine, raggiunse la ntinna. Sperando che questa storiella, realmente accaduta, possa insegnare qualcosa a qualcuno, torniamo allo strano fermento che sembra agitare tutti i partiti siciliani. Per far cosa? Taluni, addirittura, per farsi male da soli. Come i diversi gruppi della sinistra, vittime del 4%, i quali, invece d’unirsi per raggiungerlo alle prossime elezioni, continuano a moltiplicarsi. Votandosi a sicuro suicidio. E questo, francamente, non lo capisce nessuno. Il PD, lontano dai frastuoni del confronto congressuale nazionale, resta inchiodato al terribile dilemma tutto siciliano: essere (o non essere) con Cuffaro o con Lombardo. Al centro, l’Udc minaccia un’opposizione durissima, a tratti rancorosa, per… ritornare al governo dal quale è stata cacciata da Lombardo, l’autonomista dell’ultima ora che tratta solo con Berlusconi (con quali risultati per la Sicilia?) mentre continua ad attuare il suo piano di destrutturazione dei partiti e di occupazione del potere alla regione e nelle società partecipate. Molto fervore per nulla. Infatti, non c’è uno straccio di programma, un progetto serio, fattibile per risolvere i veri problemi dei siciliani. Solo roba vecchia, trita e ritrita, idee confuse, sconfitte dalla storia, e vaghi propositi di riforme più minacciate che perseguite.
Dentro questo sconsolante scenario, il documento dei giovani Pd lascia bene sperare, giacché si configura come la vera novità del momento e vorrebbe innalzare il Pd al di sopra del pantano consociativo. Se così è, questi giovani debbono sentire la grande responsabilità che si sono assunti e fare le cose sul serio, guardando oltre la scadenza congressuale. Verificheremo la loro reale volontà, la forza, il coraggio di osare. L’obiettivo sembra quello di fare uscire il Pd dal paralizzante dualismo che gli tarpa le ali. Certo, per affermarsi, anche le buone idee hanno bisogno dei numeri, ma se sono davvero buone possono fare a meno degli equilibrismi congressuali e verticistici.
Sotto la fascia apicale e autoreferenziale del Pd c’è, infatti, un grande popolo di lavoratori, di giovani, di gente onesta che attende un segnale. Non sappiamo quale impatto e che esiti avrà questa proposta all’interno di una forza politica che, praticamente, naviga a vista e che per orientarsi segue la stella polare. Ossia il nord, dimenticando che si vince e si perde prima di tutto nel sud. Così come, bisognerebbe ricordarsi che il Pd, grazie all’iniquo meccanismo elettorale, rappresenta anche l’elettorato della sinistra esclusa. Insomma, questi giovani si sono assunti un compito gravoso ed esaltante che può far cambiare registro al Pd. E perché no, anche gli orchestrali.
Agostino Spataro

martedì 14 luglio 2009

Il metodo Nisticò...

di ROBERTO ROSSI
C’è una storia che spiega molto bene chi era il giornalista Vittorio Nisticò. È la storia semplice di un pomeriggio palermitano di cinquantacinque anni fa. Quella del suo approdo alla direzione de «L’Ora» di Palermo. Ne scrisse lui stesso in un libro (“Accadeva in Sicilia”, Sellerio) che raccoglie in due tomi gli editoriali pubblicati in vent’anni e una straordinaria raccolta di aneddoti e analisi: «Già all’indomani del mio arrivo più di un dirigente locale si presentava in redazione con l’aria del padroncino di casa. Poi un giorno vidi addirittura un gruppetto, segretario cittadino in testa, tranquillamente occupati in una tipica riunione di partito come in federazione o in una sezione. Non ebbi altra scelta che invitarli ad andarsene. Fu il primo paletto; l’altro fu di stabilire il divieto di cellule all’interno del giornale e, per i redattori, di assumere incarichi di pubblica militanza politica».
Sono le parole di un uomo libero, un uomo fiero della sua appartenenza culturale e politica e al contempo intransigente nel difendere strenuamente se stesso e il suo giornale da ogni ingerenza partitica. «L’Ora» apparteneva al PCI, ma non ne subiva la linea. Fu Nisticò, direttore dal ’54 al ’75, a garantirne l’indipendenza e ad essere, semmai, insieme agli intellettuali che orbitavano attorno alla testata, fucina di idee e programmi politici.
Era «L’Ora» un giornale dall’anima battagliera, coraggiosa, che da sempre in Sicilia era stata sinonimo di cambiamento. Figlio di un’antica idea di libertà alla base di un progetto politico progressista partorito dalla migliore imprenditoria siciliana che tanta ricchezza e prestigio aveva distribuito nell’isola. Allora, e stiamo parlando del 1900, come ora, il sogno di una società aperta, libera dalle ingerenze politico-imprenditoriali-mafiose, rimaneva un orizzonte al quale guardare con tenacia. Quella battaglia fu ingaggiata dai Florio e trovò fabbrica di consenso nelle pagine de «L’Ora». Passato di mano in mano fra il primo e il secondo dopoguerra, il quotidiano trovò nel 1954 nel PCI il nuovo padrone, nel popolo siciliano l’unico referente, e questo grazie a quei paletti piantati dal notista politico calabrese che a 35 anni ne agguantò il timone.
A lui, il compito di rileggere in chiave moderna quanto già espresso da quel progetto: opporre aspramente le istanze delle classi lavoratrici e medio-borghesi agli interessi del vecchio e chiuso sistema di potere siciliano nel quale la mafia giocava un ruolo sostanziale. Un riformismo sociale aperto alle forze produttive, e al contempo intransigente, a causa delle fragilissime dinamiche democratiche dell’isola.
Durante la sua direzione, «L’Ora» non fu solo un testimone dei fatti. Fu piuttosto dentro ai fatti, intervenendo sull’agenda politica, parteggiando, offrendo ai lettori un punto di vista netto. E questo non solo perché l’antica anima del giornale finiva per innestarsi sulla fortissima identità della sinistra antimafiosa siciliana forgiata col sangue versato dal movimento contadino. Ma soprattutto perché «L’Ora», con Nisticò, cominciò a fissare i suoi valori di notiziabilità sulla consuetudine di leggere gli avvenimenti dell’attualità come elementi di un processo storico più ampio, definendoli in virtù del loro peso sul mutamento sociale e politico, applicando all’attualità le categorie dell’interpretazione storica. Una scelta e un metodo che hanno avuto un robusto indirizzo politico e culturale, e un peso molto forte nella definizione dell’idea che i lettori avevano di sé, della loro terra e delle scelte politiche necessarie al cambiamento.
Fra queste scelte, la lotta senza quartiere alla mafia. Una intifada di carta e inchiostro e cervello e scarpe consumate, che nel giro di dodici anni ha inghiottito tre vite: Cosimo Cristina, ucciso nel 1960 a Termini Imerese, Mauro De Mauro, scomparso a Palermo nel ’70, Giovanni Spampinato finito con sei colpi di pistola a Ragusa solo due anni dopo.
Impressionante il lavoro di inchiesta che ha prodotto «L’Ora» in quegli anni. «Tutto sulla mafia», il ciclo di inchieste che debuttò il 15 ottobre del 1958 sulla scia di sangue della faida che segnò la scalata al potere mafioso del gruppo di Luciano Liggio, rimane un classico del giornalismo. Erano anni in cui persino l’esistenza stessa della mafia era negata, dalla gente comune come dall’establishment politico e culturale. Il cardinale di Palermo, Ernesto Ruffini, era solito parlarne come di un’invenzione dei comunisti per denigrare la DC. La magistratura aveva un ritardo enorme dovuto anche agli indugi della politica, le forze dell’ordine continuavano a interpretare le faide di mafia come gesti frutto di una natura retrograda e selvaggia: un problema di sottosviluppo culturale. In quel contesto, Vittorio Nisticò introdusse così quella serie di approfondimenti: «Occorre procedere a un esame organico dell’organizzazione della mafia, entrando nel labirinto dei suoi affari e dei suoi rapporti con la politica e le istituzioni».
Il giorno successivo, inserito in una cornice di piccole stelline nere, accanto allo schizzo della fondina di un’automatica, domina la pagina il titolo «Pericoloso!». Sotto, al centro della pagina, l’enorme foto stile wanted di un sardonico Luciano Liggio. Non passano tre giorni. La notte fra il 18 e il 19 ottobre, quattro chili di tritolo fanno saltare in aria la tipografia del giornale. «La mafia ci minaccia, l’inchiesta continua» è l’apertura del 20 ottobre.
Quell’inchiesta, l’attentato che ne seguì, ebbero un effetto immediato sull’azione del governo regionale di Silvio Milazzo, che da lì a poco varò una riforma per il risanamento dei consorzi di bonifica, una miniera di denaro pubblico che finiva dritto in mano alla cosche. Ma ci sono almeno altri tre effetti provocati dal lavoro dei giornalisti de «L’Ora». Da una parte, dopo quell’attentato si cominciò a discutere in Assemblea regionale di un documento che proponeva al Parlamento l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso, istituita poi nel 1963. Dall’altra, la lettura della mafia come un sistema di potere nel quale confluiscono politica ed economia fu il primo passo per costruire, in anni più recenti, un’organica e più efficiente lotta contro la criminalità organizzata da parte della società civile e di alcuni servitori dello Stato. Quella definizione sistemica determinò, infine, la consapevolezza diffusa che la mafia non fosse solo un problema siciliano, ma che, proprio per la sua capacità di inquinamento della vita pubblica italiana, fosse piuttosto una questione nazionale. «Ci voleva l’attentato a L’Ora per capire che la mafia c’è», è l’apertura del 22 ottobre 1958 che riprende le parole del futuro Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.
Quello espresso da «L’Ora» fu un giornalismo antimafia politico. Il gruppo di intellettuali che lo realizzò capì che la lotta ai clan non poteva che essere agone politico. La costante attenzione al fenomeno, l’impostazione di indagine autonoma, le interpretazioni accordate alla mafia sulla base di una chiave di lettura che la vede come sistema, permisero a «L’Ora» di svelare che Cosa nostra non era (e non è) solo un organismo che collude con la politica, ma che è piuttosto un pezzo della politica. Così come tutta la storia del Novecento siciliano ha dimostrato, a partire dalla difesa degli interessi reazionari del blocco agrario di inizio secolo, passando da Portella della ginestra, fino alla speculazione edilizia di Lima e Ciancimino. Un’impostazione di questo tipo non poteva che venire da un giornale dal forte indirizzo politico e dalla capacità di lettura storica dell’attualità.
Quel giornalismo di inchiesta sulla mafia è la grande eredità che «L’Ora» ha lasciato a questo Paese. Vittorio Nisticò e la sua redazione, la squadra che giorno dopo giorno costruirono quest’eredità in anni che ci appaiono lontani e così diversi dai nostri ma che rimangono invece incredibilmente simili rispetto al rapporto di forza che la mafia continua ad avere nella società, nella politica e nell’imprenditoria italiana. Vittorio Nisticò è morto il 7 giugno a Roma a 89 anni. Ognuno di noi avrebbe voluto imparare da lui il mestiere di giornalista.
Roberto Rossi

----------------------------------------

SCHEDE

«Dà pane e morte»
di Felice Chilanti, «L’Ora», 15 ottobre 1958

«Qualche settimana fa, mentre l’Assemblea regionale discuteva il Bilancio della Regione e già si dava per certa la caduta del governo La Loggia, sono stati notati alcuni strani personaggi lungo i corridoi del Palazzo dei Normanni. Erano i capimafia venuti a Palermo da Caltanissetta ed Agrigento per far sentire le loro ragioni. Genco Russo, l’uomo che viene indicato come il successore del defunto commendator Calogero Vizzini, capo e primo consigliere di tutte le mafie isolane, entrava ed usciva da tutti gli uffici, si intratteneva con deputati e assessori, insomma si faceva intendere. E la sua presenza veniva osservata e commentata a bassa voce e nelle cronache della “crisi governativa” si è fatto il suon nome. Questo Genco Russo è un “agricoltore” di Mussomeli, un privato cittadino. E tuttavia la sua presenza alla sede dell’Assemblea regionale in un momento decisivo di una crisi governativa assumeva significati oscuri, tenebrosi, in un certo senso suggestivi».

----------------------------------------

Dall’introduzione di «Rapporto sulla mafia» di Felice Chilanti e Mario Farinella, Palermo, 1964. Il libro raccoglie in modo sistematico le inchieste de «L’Ora» a partire dal 1958.

«A questo punto era chiaro che certi schemi tradizionali della pubblicistica sulla mafia non resistevano più. Cercavamo una risposta adeguata al “perché?” di quelle esplosioni di violenza. Le versioni ufficiali basate sui temi della vendetta familiare o del semplice contrasto di prestigio erano travolte a tal punto dalla crudele drammaticità dei fatti stessi da insospettire: sembravano mascherare deliberatamente realtà molto più complesse e sgradevoli. E una risposta effettiva, convincente non poteva venire ormai neppure dai discorsi della Sinistra che, piuttosto stancamente, continuavano a insistere sull’esclusiva identificazione fra potere mafioso e superstiti strutture feudali. D’altro canto in nessun’altra parte, come in Sicilia, il delitto è una manifestazione rigorosamente dialettica, nel senso che quasi sempre (comunque, sempre quando viene dalla mafia) è dettato da una logica serrata, implacabile».
Vittorio Nisticò

domenica 12 luglio 2009

Il programma del Camping Liberarci dalle Spine

Seminario “I saperi della Vitamina L”
Livorno/Cecina Mare Loc La Cecinella

Semi e Segni del Futuro – Regione Toscana

Programma

Domenica 12 Luglio
Livorno - Fortezza
h 18
-L’impegno dell’ antimafia nel Parlamento Europeo
-Conferimento delle cittadinanze onorarie di Corleone ai volontari

Vincenzo Striano Presidente Arci Toscana
Marco Solimano Presidente Arci Livorno
Federico Gelli VicePresidente Regione Toscana
Rita Borsellino Parlamentare Europeo PD
Alfio Foti Fondatore della Carovana Antimafia
Calogero Parisi Presidente della Cooperativa lavoro e Non Solo
Maurizio Pascucci Coordinatore Progetto Liberarci dalle Spine

Lunedi 13 Luglio
h13 Pranzo della Vitamina L
degustazione dei legumi e della marmellata con il vino Genus
Federico Bernini Segreteria Arci Livorno

h15
Il Progetto Liberarci dalle Spine
-i prodotti alimentari provenienti dai terreni confiscati
- l’ impegno sociale al fianco della cooperazione

Calogero Parisi Presidente Cooperativa Lavoro e Non Solo
Carlo Cortesi volontario
Giuliana Giuggioli Unicoop Tirreno
Dino Paternostro Segretario della Camera del lavoro di Corleone
Luciano Silvestri Cgil

Martedi 14 luglio
h10 l’impegno degli amministratori per fronteggiare l’infiltrazione mafiosa
dagli appalti pubblici ai beni confiscati in Toscana

presenta Francesca Chiavacci Presidente Arci Firenze - Consigliere Comunale nel Comune di Firenze

Stefano Benedetti Sindaco Comune di Cecina
Federico Gelli VicePresidente Regione Toscana
Roberto Lorenzi Assessore Comune di Cascina Direttivo Avviso Pubblico
Cecilia Pezza Consigliere Comunale di Firenze
Sabrina Gori Sindaco del Comune di Quarrata
Alfio Pellegrini Esecutivo Arci Toscana

h13 Pranzo della Vitamina L
Ettore Nespoli Segreteria Arci Prato
degustazione della passata di pomodoro e della farina con il vino Naca

h 15 L’educazione alla legalità nelle scuole
presenta Valeria Carboncini Segreteria Arci Empolese Valdelsa
Marcello Magrini Presidente Arci Pistoia
Gianfranco Simoncini Assessore alla Pubblica Istruzione Regione Toscana
Mimmo Bilotta Direttore Nazionale Educazione della Fondazione Caponnetto
Enrico Bartolini UDU – Senatore Accademico rappresentante Rete Studenti Medi
Jonny Guarguaglini studente
Cristina Del Moro Responsabile Educazione al Consumo Unicoop Tirreno
Elisabetta Baldi Caponnetto

Mercoledi 15 Luglio
h10 La sobrietà come stile di vita
presenta Francesca Balestri Arci Toscana

Don Andrea Bigalli Libera Toscana
Luciano Senatori Esecutivo Arci Toscana
Stefania Bozzi Segreteria Arci di Pisa
Fabrizio Magazzini Assessore Comune di Agliana
Simone Bartolini Segreteria Arci di Grosseto

h13 Pranzo della Vitamina L
degustazione della caponata e antipasto di peperoni con il vino Limpiu
Maria Cangemi Segreteria Arci Pistoia
Giuseppe Martelli Presidente UDU Firenze

h 15
le mafie in Toscana
presenta Libero Galligani Segreteria Arci Pistoia
Salvatore Calleri Presidente Fondazione Caponnetto
Franco Ancona Cooperativa Lavoro e Non Solo

h18
conclusioni del seminario
Pippo Cipriani
già Sindaco di Corleone Commissione Antimafia Regione Sicilia
Maurizio Pascucci Coordinatore Progetto Liberarci dalle Spine - Esecutivo Arci Toscana

sabato 11 luglio 2009

Corleone, l'ospedale. Interrogazione dell'on. Davide Faraone (Pd) su iniziative urgenti per risolvere la difficile situazione dell'Ospedale

Iniziative urgenti allo scopo di risolvere la difficile condizione
in cui versa il P.O. “Dei Bianchi” presso il Comune di Corleone

all’assessore per la Sanità

Premesso che:
nella struttura ospedaliera in oggetto sussisono alcuni problemi già ampiamente rilevati alla direzione generale del nosocomio dagli operatori che quotidianamente si trovano ad affrontarli ma senza soluzione;

i problemi che occorre risolvere riguardano più specificamente: una TAC G. E. Multi-Slice collaudata e mai messa in funzione per guasto tecnico, la chiusura dal 1° giugno agli esterni del servizio di Ecografia per carenza di personale, l’Eco-cardio inutilizzabile da circa 5 mesi per il guasto della sonda, così come, il Gastroscopio e il Coloscopio, fermi da circa un anno;

ai deficit strutturali sopraelencati si aggiunge il ripetersi di guasti alle ambulanze, due su tre obsolete, nonché la carenza di autisti, costretti ad eseguire una turnazione che non consente un recupero psico-fisico adeguato con gravi rischi per l'operatore e il paziente trasportato;

la carenza di personale, oltre che degli autisti dell’area dell’emergenza, dei medici e degli infermieri, otto su dodici previsti in dotazione organica, riguarda anche altri servizi essenziali quali
la Patologia Clinica, la Geriatria con due medici presenti su quattro, il Servizio di Anestesia e la Rianimazione con quattro medici presenti su otto e la Radiologia con solo due medici su otto.

Considerato che:
occorre realizzare tutte le opere già cantierabili con progetto esecutivo relative alla ristrutturazione e il completamento dell'Ospedale dei Bianchi di Corleone, nonché, il completamento della struttura attualmente rimasta incompiuta che prevede il Pronto Soccorso e la gestione dell'Emergenza.

Rilevato che:
l’inadeguata applicazione contrattuale in riferimento alla corresponsione dell’indennità variabile di coordinamento, in quanto viene corrisposta una indennità di bassa assistenza anziché di alta assistenza;

al personale ostetrico non viene riconosciuta una indennità ex art. 44. così come accadde negli altri presidi ospedalieri;

l’elenco delle problematiche sopra elencate sono state analogamente denunciate da alcune organizzazioni sindacali con l’obiettivo di spingere la direzione generale dell’ospedale ad una soluzione possibile.

Per sapere:
se l’Assessore è a conoscenza delle problematiche sopra esposte e se in caso affermativo quali interventi ha già posto in essere o intende avviare;

se non ritenga necessario e urgente attivare rapidamente ogni iniziativa utile direttamente e presso la direzione generale della struttura ospedaliera allo scopo di giungere alla risoluzione dei problemi qui delineati, consentendo così il ripristino delle normali condizioni di funzionamento presso il P.O. “Dei Bianchi” nel Comune di Corleone.
on. Davide Faraone
10 luglio 2009

venerdì 10 luglio 2009

Ato rifiuti, PD: “La Regione sciolga il Coinres e affidi la gestione a commissario”

Il Partito Democratico si è riunito stamani, nei locali della sede del PD, in via Bentivegna n. 66, per presentare il documento con si chiede “al presidente della Regione Raffaele Lombardo, quale autorità di vigilanza, di procedere allo scioglimento del Coinres e per chiedere all’A.r.r.a di predisporre gli adempimenti e le direttive perché la gestione dei rifiuti possa in via transitoria essere esercitata dai singoli comuni che costituiscono il Consorzio”. Erano presenti il capogruppo del Pd all’Ars Antonello Cracolici, il coordinatore provinciale Leonardo Passarello, i deputati regionali Giuseppe Lupo, Gaspare Vitrano e Davide Faraone e il responsabile delle Politiche Economiche del Pd Franco Piro.
Ad aprire i lavori è stato il coordinatore provinciale Leonardo Passarello. “Il Coinres in meno di tre anni – ha detto Passarello- ha triplicato i costi della gestione dei rifiuti, infatti i 22 Comuni prima della gestione del consorzio sopportavano un costo di 15.798.000 euro, per l’anno 2009 si è passati invece ad un costo pari a 40.000.000 di euro che sarò pagato dai cittadini e che si aggiunge al costo ambientale e sanitario. Non solo, il Coinres ha cumulato in soli tre anni debiti per oltre 22.667.000. Questi numeri parlano chiaro e dimostrano che è stata creata una struttura consortile elefantiaca, inefficiente e clientelare, che deve essere sciolta per la tutela dei cittadini e dei 22 Comuni del comprensorio dell’Ato Pa 4 e di tutti i lavoratori”.
“Il Coinres – ha detto il capogruppo all’Ars Antonello Cracolici- deve essere sciolto perché ha fallito tutti suoi obiettivi. Si assiste infatti ad un impazzimento totale del sistema che provoca elevatissimi costi per i cittadini che continuano a trovarsi i rifiuti per strada. La Regione deve quindi sciogliere il consorzio e nominare un commissario in attesa della riforma che deve basarsi su tre punti principali: la riduzione degli Ato in Sicilia, avendo come dimensione territoriale le province, la predisposizione di un piano rifiuti che si fondi sulla raccolta differenziata e che trasformi gli stessi rifiuti in risorsa economica e un piano discariche straordinario. Misure necessarie per il futuro della Sicilia perché altrimenti si rischia lo stesso disastro campano”.
Palermo, 10 luglio 2009