domenica 30 dicembre 2007

Partinico, la città fantasma

di WALTER MOLINO
Sono iniziati questa mattina i lavori di abbattimento dell'ultima di cinque stalle abusive realizzate dalla famiglia mafiosa dei Vitale in contrada Valguarnera.
Il Commissario Straordinario Saverio Bonura, che ne ha disposto la demolizione in conseguenza della deliberazione del Sindaco Giuseppe Motisi, ha letto un breve discorso in cui ha parlato di giornata storica. Se la storia la fanno i popoli, però, stamattina si è scritto poco di più di un aforisma.
C'erano le forze dell'ordine, i funzionari comunali, la stampa, una quarantina di politici locali di tutti i partiti. Il popolo non c'era. Colpa delle feste, sostiene il Commissario Bonura senza un filo di imbarazzo. La gente non sapeva, le scuole sono chiuse, tutto qui. Non sarà invece che... "Niente affatto, la paura della mafia a Partinico non c'è più, l'omertà appartiene al passato. Il 99,99% dei cittadini di Partinico sono persone perbene". Sarà.
Sciorina percentuali anche l'ex assessore alla legalità Francesca Tranchina: "il 90% dei presenti è sempre stato contrario alla demolizione". Oggi però il circo Barnum era al completo, a presenziare, a farsi inquadrare dalle telecamere, a salutarsi e baciarsi, con le bocche piene di parole vuote, a sogghignare per qualche esibizionismo di serie B.
"La cosa più opportuna sarebbe stata fare questa giornata quindici giorni fa o tra un paio di settimane", spiega Claudio Burgio, figlio di Giuseppe La Franca. "coinvolgendo le scuole, la società civile. Oggi sento le istituzioni vicine, mi sarei sentito meglio se ci fosse stata la città". L'osservatorio legalità, così come l'ufficio beni confiscati del Comune, sono stati informati pochi giorni fa dell'iniziativa. Nessuna preparazione, quasi un'incombenza da liquidare in fretta e furia, con qualcuno evidentemente troppo ansioso di ritagliarsi spazi nuovi e patenti di credibilità.
Non c'era il presidente della Commissione Antimafia Francesco Forgione, assente giustificato: è stato invitato solo ieri a tarda sera, al Comune pare avessero un numero di cellulare sbagliato. Consoliamoci, non c'era nemmeno Totò Cuffaro: e meno male, perchè c'è stata qualche mente sopraffina che ha provato pure a convincerlo a venire il presidente della Regione sotto processo per mafia.
Da Libera Mente, 28 Dicembre 2007

giovedì 27 dicembre 2007

Appalti, pizzo e uomini da uccidere: l'archivio segreto dell'ultimo boss

IL DOCUMENTO. L'impero del boss Lo Piccolo svelato da mille pagine di lettere e pizzini

di FRANCESCO VIVIANO

PALERMO - C'è tutto l'universo mafioso, dal 2000 ai giorni nostri, nell'archivio segreto dei boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo, padre e figlio, arrestati il 29 novembre. Erano loro che, insieme a Matteo Messina Denaro (boss ancora latitante) avevano preso il potere in Sicilia dopo l'arresto dei capi di Cosa Nostra, prima Bernardo Provenzano e poi Nino Rotolo. E quella che emerge dalle carte sequestrate nel loro covo, centinaia di pizzini, lettere e appunti, è una vera e propria mappa globale di Cosa nostra. È una documentazione voluminosissima. Oltre mille pagine che gli investigatori antimafia stanno ancora decifrando e che Repubblica ha potuto vedere in anteprima. Dentro c'è tutto. Gli affari di Cosa nostra, dalle sale Bingo nel nord Italia ed in Sicilia alle sorgenti d'acqua nell'isola ed in Calabria, al traffico di cocaina con il sud America gestito con la 'ndrangheta. E poi i nomi di tutti gli uomini d'onore, tutti gli appalti pubblici e privati, dai lavori all'aeroporto di Palermo, a quelli degli ospedali, delle caserme, della metanizzazione, della metropolitana, dei lavori al tribunale. C'è poi la mappa del pizzo di tutta la città di Palermo (centinaia di imprenditori, commercianti, artigiani, anche parrucchieri e pescivendoli) che pagavano con cadenza mensile o annuale. E ancora gli interessi del clan Lo Piccolo nel Palermo Calcio, dagli appalti per la costruzione del nuovo stadio alle scelte degli allenatori per squadre minorili. Non mancano resoconti, timori e richieste di pareri sulla vita ed i contrasti interni a Cosa nostra, con le lettere di Provenzano, Rotolo e Messina Denaro, impegnati a placare la guerra in corso all'interno dei clan catanesi, e i ricorrenti accenni al problema degli americani, i membri del clan Inzerillo fuggiti all'estero durante la guerra degli anni '80 e intenzionati a rientrare in Sicilia. Vicende sfociate nella crisi di Cosa nostra, decimata dalle operazioni di polizia e carabinieri, con i boss superstiti in grosse difficoltà. "Ormai siamo rimasti in tre" scriveva Provenzano - prima di venire catturato - in una lettera a Lo Piccolo, alludendo a loro due e a Messina Denaro.

I BOSS E I SERVIZI SEGRETI - I Lo Piccolo avevano sempre informazioni di prima mano, sapevano anche chi erano i "confidenti" dei servizi segreti. "Sono due fratelli e sono in contatto con i servizi segreti di Roma e Palermo, diciamo che sono rapinatori, uno si chiama... abita... e vive... l'altro si chiama.." comunica un uomo di fiducia del boss. Lo Piccolo veniva informato anche di chi entrava ed usciva dal carcere, segnalando quelli che dovevano essere "astutati" cioè spenti, uccisi. Come quando uscì dal carcere Nicola Ingarao, ammazzato subito dopo dal clan Lo Piccolo. I boss avevano inoltre tutte le schede relative alle persone che in un modo o in un altro dovevano essere "avvicinate" per la tangente sugli appalti, sulla costruzione dei grandi ipermercati. Ma anche per l'apertura di un panificio o di una officina meccanica. Insomma un controllo capillare.

I CONTI DI COSA NOSTRA - Tutto veniva registrato nei libri contabili di Cosa nostra, tutte le entrate e le uscite, gli incassi del pizzo e le spese per gli stipendi ai mafiosi (dai 5mila ai 3mila euro per i capi, poco meno per i picciotti) ai carcerati, agli avvocati. Ma anche pizzini e lettere su fatti intimi dei Lo Piccolo, dagli amori (soprattutto del figlio Sandro che, latitante, intratteneva una serie di relazioni), alle ricette di cucina. Gli affari principali dei Lo Piccolo che agivano anche per nome e per conto di Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro, erano o sono sparsi in tutta la Sicilia. Tutte le imprese che appaltavano lavori pubblici, anche quelle che venivano "da fuori" e che realizzavano opere a Palermo, erano tutte "avvicinate". Gli uomini di Lo Piccolo avevano anche le "gazzette" degli appalti e per ognuno di loro individuavano il titolare dell'impresa il titolare dei lavori e gli "amici" che dovevano avvicinarli. Per esempio quello della metropolitana che congiunge Palermo con Carini, vicino l'aeroporto di Punta Raisi.

UN SUPER CENTRO BENESSERE - "Altro lavoro per la metropolitana - scrivevano a Lo Piccolo - che va da Roccella a Carini, il lavoro l'ha preso una ditta di Torino che ha sede per il cantiere a Palermo. Questi amici mi dicono che ci possono arrivare con il capocantiere che è catanese. Fratello ditemi voi come mi devo comportare...". Chi scrive è un "cugino" di Lo Piccolo che controlla i "lavori", anche quelli degli uomini d'onore che intendono riciclare in altre attività il denaro sporco. Tra i progetti del clan c'era anche la realizzazione di un centro benessere di cinque piani. "Carissimo... per quelli che stentano a pagare abbiamo già provveduto con l'attak... Per il lavoro all'ospedale civico faremo sapere al nostro uomo il nominativo a cui rivolgersi... La settimana scorsa mi sono incontrato con... ed abbiamo il progetto di realizzare un centro benessere a cinque piani, con parruccheria, centro estetico, piscina ed altri reparti e sarebbe tutto convenzionato, anche se c'è lo zampino di quel crasto (montone, ndr) di dottor.... Vorrebbero affidarlo direttamente a me. Comunque valuta tu la cosa e poi mi fai sapere".

IL BUSINESS DEL PIZZO - Un altro business di Cosa Nostra, che faceva entrare nelle casse dei Lo Piccolo milioni di euro erano la gestione capillare del toto nero, del lotto clandestino e il pizzo a tappeto su imprenditori, commercianti. A Mondello, per esempio, nota località balneare a due passi da Palermo, pagavano quasi tutti. Locali celebri inseriti nelle guide dei ristoranti, trattorie, gelaterie, parrucchieri, pub. Anche i cantieri navali Motomar. E al pizzo non sfuggiva neanche il settore "sportivo". Pagavano il bowling, l'ippodromo, la piscina comunale, il palazzetto dello sport e tutte le ville e palazzi dove si svolgono convegni e congressi. La situazione non è diversa nel centro di Palermo dove pagavano anche notissimi commercianti e leader dell'abbigliamento in genere. Come le concessionarie Bmw a Palermo e la catena dei negozi Giglio, Bagagli e Visiona. Al pagamento del pizzo non sfuggivano neanche i liberi professionisti, come alcuni architetti e veterinari.

LE MANI SUL CALCIO - Una fitta corrispondenza sequestrata nel covo dei Lo Piccolo è relativa al "Palermo Calcio". Anche lì Cosa nostra aveva degli infiltrati che erano in strettissimi rapporti con dirigenti della squadra di calcio. "Caro Padrino - scrive un picciotto a Lo Piccolo - volevo aggiornarti sullo stadio: è venuto Pecoraro (responsabile tecnico del settore giovanile del Palermo) dicendomi che l'aveva chiamato Milano (personaggio ritenuto vicino ad ambienti mafiosi, ndr) che voleva andare a parlare con Foschi (direttore sportivo del Palermo, ndr)". Foschi però aveva dirottato questi personaggi verso Rinaldo Sagramola, amministratore delegato del Palermo e braccio destro di Zamparini. "Milano è sempre agli allenamenti del Palermo e addirittura parte con lo stesso aereo della squadra, come se fosse uno di loro. Foschi e Sagramola gestiscono milioni di euro. Io ti dico queste cose che se tu già sai siamo a posto, in caso contrario vedi tu come devi fare...".

IL RIENTRO DEGLI AMERICANI - Non mancano, nell'archivio di Lo Piccolo, anche le missive inviate da Provenzano sul caso degli "americani". I boss Nino Rotolo e Salvatore Lo Piccolo non sono d'accordo sul rientro degli "americani", i familiari del boss Totuccio Inzerillo, ucciso dai corleonesi, ed investono della vicenda Bernardo Provenzano. "Io vi prego - scrive Provenzano a Lo Piccolo - di trovare un accordo tutti insieme quelli che siamo fuori e la dove è possibile risolviamo le cose con la responsabilità di tutti... Parenti di Totuccio Inzerillo, Sarino suo fratello sta tornando dall'America per stabilirsi qua, perché dicono che in America se la passa male. Io sono del parere di valutare bene questa situazione. Il mio cuore volesse pace e serenità per tutti, se dipendesse solo da me la vicenda sarebbe risolta, ma dobbiamo creare le condizioni...".

(La Repubblica, 27 dicembre 2007)

martedì 25 dicembre 2007

TRL SBARCA A CORLEONE!!!

Proprio così!!! TRL, che gira ogni anno le piazze più belle e famose d’Italia, quest’anno è arrivato anche nella nostra piazza Falcone e Borsellino! L’iniziativa si chiama NO-MAFIE ed è stata ideata da don Ciotti e la sua associazione Libera, e subito dopo sposata da MTV e LA7. TRL è andato in onda per tre giorni consecutivi in diretta nazionale, condotto dai VJ Alessandro Cattelan ed Elena Santarelli, insieme ad ospiti meravigliosi come i Finley, Fabri Fibra, Paolo Briguglia, Pif e tanti altri, che hanno saputo coinvolgere i intrattenere centinaia di ragazzi provenienti da varie zone della Sicilia. Per noi giovani questo è stato un evento straordinario perché mai potevamo immaginare che TRL potesse arrivare fin qui, a due passi da casa nostra, in un luogo dove ogni giorno ci incontriamo per passeggiare, parlare e magari anche discutere della puntata odierna di TRL.Ma la cosa più importante è il fine per cui TRL è arrivato a Corleone, che non è solo quello di far divertire attraverso la musica, ma raccontare, come diceva Laura, la produttrice esecutiva di MTV, attraverso un programma di intrattenimento varie storie di uomini uccisi per mano mafiosa e trasmettere un messaggio di pace e di legalità ai giovani che oggi devono prendere coscienza della situazione in cui ci si trova e scegliere razionalmente la strada giusta che non è quella illegale! Parlando con Laura ho notato il suo entusiasmo e il suo senso di gratitudine nei confronti dei corleonese che hanno saputo accogliere con gioia e disponibilitàtutti i collaboratori di TRL aiutandoli ad allestire il palco e la scenografia, sotto la pioggia e sotto il vento! Oltre agli artisti famosi di MTV si sono esibiti i miei compaesani, Salvatore, Luca, Marco, Mario, Raimondo e Jim che hanno dato vita, qualche anno fa, ad una cover-band dal nome “SENZA QUOTA” e che in questi tre giorni hanno dato il massimo sul palco, con la loro musica e la loro voglia di uscire fuori dagli schemi omertosi e chiusi della mentalità corleonese. Loro, insieme ad altre cover-band nate a Corleone, sono l’esempio di come il nostro paese non è solo mafia! E’ fatto anche di giovani che credono in un cambiamento di mentalità e combattono affinché questo cambiamento nasca e viva in ognuno di noi. Molto significativi sono stati gli interventi di Gaetano, figlio del caposcorta di Falcone, e Rosalinda, sorella di Salvatore, ucciso “per sbaglio” a soli 21 anni, che hanno raccontato la storia dei loro cari gridando con orgoglio che continuano ad andare avanti nonostante il dolore e continuano a lottare perché non hanno paura e non vogliono MAI abbassare lo sguardo! Nonostante il loro volto porti i segni della mafia e del dolore, hanno voglia di riscatto ma non di vendetta! Hanno capito che la mafia uccide, uccide, uccide e non lo fa mai per sbaglio, ma solo perché semplicemente non si cura della “vita”.MTV e LA7 questo lo hanno voluto sottolineare ancora una volta venerdì 21 in prima serata, con i programmi PUGNI IN TASCA, SPECIALE NO MAFIE e IL TESTIMONE-ADDIO PIZZO, mediante i quali hanno voluto raccontare la storia di associazioni come “addio pizzo”, che continua ogni giorno a dire ai commercianti palermitani che “un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”, e “Libera”, che chiede la confisca dei beni mafiosi.Quei beni che un tempo possedeva la gente onesta che non ha saputo reagire alle oppressioni mafiose e si è arresa, rinunciando a ciò per cui aveva lavorato duramente. Adesso questi campi vengono lavorati da giovani siciliani e toscani facenti parte della cooperativa”Lavoro e non solo”, ricavando da essi prodotti messi in commercio in tutta Italia. Anche altri giovani studenti corleonesi dell’Istituto Don Giovanni Colletto e dell’Istituto Agrario Don Calogero Di Vincenti hanno avuto voce in queste trasmissioni per dire che i corleonesi non sono tutti uguali e che esistono persone che sanno apprezzare le cose belle e discriminare quelle brutte quali la mafia, la criminalità e l’illegalità tutta. Hanno saputo raccontare l’evolversi della mafia e il suo “cambiamento di residenza”. Come sappiamo, la mafia non è più quella della lupara, degli omicidi per strada, ma è una mafia “bianca”, nascosta, che chiede il pizzo, che domina gli appalti. Non è più la mafia dei ceti bassi, di chi ha fame, ma di chi sta in alto. La mafia è nella politica, nelle grandi imprese, nelle infrastrutture! La mafia ormai è potente, dà tutto: soldi, potere, rispetto, raccomandazioni, lavoro…Ma la mafia è sempre mafia, è sempre, come diceva Peppino, una “montagna di merda”.E allora noi, in questi tre giorni, abbiamo voluto mandare a quel paese la mafia e ricordarle che noi non abbiamo paura di portare avanti le nostre idee e che non la lasceremo vincere.Perché la Sicilia, la Calabria, la Campania non siano più oppresse dalla forza mafiosa, c’è bisogno di unione e coraggio. Ognuno di noi deve capire che la mafia non porta a niente di buono, non da nessuna soddisfazione dal punto di vista etico, ma porta solo odio, guerre e dolore.La mafia vive solo grazie al nostro consenso perché altrimenti sarebbe “nuddu ammiscatu cù nienti” ! Sappiate che non è troppo tardi per cambiare idea né troppo tardi per convincere gli altri a farlo! Voglio chiudere con una frase di Paolo Borsellino, ma non per abbellire il finale dell’articolo, ma perché vi arrivi dentro, vi tocchi il cuore e vi porti a camminare verso questo sogno che non è utopistico, anzi, è a un passo da noi!“Se la gioventù le negherà il consenso la mafia sparirà come un incubo”.
Buon cammino a tutti!!!
Lorena Pecorella
Da. www.corleonedialogos.it
lunedì 24 dicembre 2007

Grazia a Contrada, Mastella accelera: "L'istruttoria avrà tempi brevi"

Il ministro della Giustizia spiega perché ha accolto l'istanza del Capo dello Stato. "Spero si faccia prima dei soliti sei mesi, l'urgenza deriva dalle condizioni di salute". L'ex funzionario Sisde sta scontando 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Rita Borsellino, contraria, chiede di incontrare Napolitano: "Ipotesi estremamente grave"


ROMA - "Mi sembrava un atto dovuto, visto anche l'allarme destato dalle condizioni di salute" di Bruno Contrada. Il ministro della Giustizia Clemente Mastella - nel corso di un'intervista al Gr Rai - ritiene "giusto" l'aver avviato l'istruttoria per un'eventuale concessione della grazia all'ex funzionario del Sisde, condannato a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. L'istruttoria sollecitata dal Capo dello Stato prevede la richiesta dei pareri (tecnici e non vincolanti) alla procura generale di Palermo e al Tribunale di sorveglianza di Napoli. La sua durata - spiega Mastella - potrebbe essere breve: "In questo caso l'urgenza deriva dalle condizioni di salute. Normalmente per l'attivazione di questi strumenti si impiegano sei mesi. Io mi auguro che si faccia molto, molto prima". L'interessamento del Quirinale e del ministero della Giustizia alla vicenda parte dal "dramma che sta vivendo Contrada", perché, aggiunge Mastella, "io valuto l'aspetto umano, come anche il presidente della Repubblica ha valutato questo". L'interessamento del ministero della Giustizia, inoltre, non è nuovo: "Per la verità - sottolinea il Guardasigilli - a seguito della lettera che mi era stata inviata dall'avvocato (di Contrada, ndr), eravamo già intervenuti precedentemente sul Tribunale di sorveglianza di Napoli per vedere un po' il da farsi, nei limiti di quello che non appare mai un'interferenza del ministro rispetto all'attività della magistratura". Quanto all'ipotesi di una revisione del processo, Mastella frena: "Non è qualcosa che attiene a me". La possibilità che a Contrada venga concessa la grazia non piace a Rita Borsellino, la sorella di Paolo, il magistrato antimafia ucciso nel 1992, che intende chiedere un incontro al capo dello Stato Giorgio Napolitano nel tentativo di evitare questo passo. "Ritengo questa ipotesi estremamente grave - spiega - Contrada è stato condannato per reati commessi tradendo la sua funzione di servitore dello Stato, quello stesso Stato per cui Giovanni (Falcone, ndr), Paolo e tanti altri rappresentati delle istituzioni hanno consapevolmente dato la vita".
"Comprendo i sentimenti di pietà che si possono avere nei confronti di un uomo nelle condizioni di Contrada - aggiunge Rita Borsellino - ma la sua vicenda giudiziaria ha sempre lasciato l'alea del dubbio sul fatto che il dirigente del Sisde abbia detto fino in fondo ciò che sapeva sulle complicità di parte delle istituzioni con l'organizzazione mafiosa". "Uno Stato deve sapere distinguere e ricordare - conclude - altrimenti il rischio, dirompente per un Paese democratico fondato sulla giustizia, è che domani possa apparire legittima e dovuta anche la grazia ai boss mafiosi".
(La Repubblica, 25 dicembre 2007)

lunedì 24 dicembre 2007

Dialogos ha intervistato Dino Paternostro: "Bisogna dare speranza a questa città..."

Come valuta questi primi sei mesi dell'amministrazione Iannazzo?
La mia impressione è che l’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Iannazzo, non abbia un progetto, manchi di linee d’azione strategiche, per cui si muove in maniera scoordinata, inseguendo il giorno per giorno. Non sappiamo, per esempio, cosa stia facendo (e se stia facendo qualcosa) per rendere possibile il funzionamento del caseificio di contrada “Noce” e del mercato ortofrutticolo. Non sappiamo cosa stia facendo per spingere l’amministrazione provinciale ad ammodernare la strada Corleone-San Cipirello-Partinico, utilizzando sia i circa 20 milioni di euro del vecchio progetto “Corleone-mare”, sia una parte dei 500 milioni di euro che il governo Prodi ha stanziato per l’ammodernamento della viabilità provinciale in Calabria e in Sicilia. Ecco, quello che non si vede dall’azione amministrativa della giunta Iannazzo è un progetto complessivo di sviluppo per la città. Quello che si vede benissimo, invece, è la guerra con l'ex sindaco Nicolosi. Un vero e proprio regolamento di conti all’interno del Polo, di cui i cittadini non sentivano il bisogno…

L’amministrazione Iannazzo ha adottato alcuni atti sul versante della lotta alla mafia, lei che cosa ne pensa?
Penso che nella Sicilia di oggi, con la crescita delle coscienze che c’è stata in questi anni, è difficile che un’amministrazione comunale possa permettersi di non fare il minimo indispensabile per attivare percorsi di legalità. Le iniziative portate avanti dall’amministrazione Iannazzo su questo versante sono certamente meritorie, ma nulla di straordinario. In estate ha assegnato provvisoriamente un locale confiscato al boss mafioso Bernardo Provenzano alla Cooperativa “Lavoro e non solo”, per consentire loro di ospitare i giovani volontari toscani? Una scelta doverosa, un riconoscimento all’importante ruolo che questa cooperativa sta svolgendo, sia coltivando terreni confiscati alla mafia, sia animando il territorio con iniziative capaci di collegare Corleone e la Sicilia con Firenze e la Toscana. D’altra parte, un bene viene confiscato per essere riutilizzato socialmente. Se non viene riutilizzato attraverso l’assegnazione ad associazioni e a cooperative impegnate sul fronte del contrasto alla criminalità mafiosa, a chi dovrebbe essere assegnato? L’amministrazione Iannazzo ha consegnato i lavori per la realizzazione di un campo sperimentale su un terreno confiscato alla mafia, destinato alla scuola agraria? Il campo in questione era già stato assegnato alla Scuola Agraria nel lontano 2001 dall’amministrazione Cipriani. Le amministrazioni Nicolosi-Iannazzo (2002-2006) e Iannazzo-Siragusa (2007), invece, hanno fatto passare sei anni per progettare e finanziare la realizzazione di questo campo sperimentale. L’amministrazione comunale ha approvato il protocollo “Carlo Alberto Dalla Chiesa” per dire che non aggiudicherà mai lavori pubblici, servizi o forniture a ditte che pagano il pizzo? Ci mancherebbe pure che lo facesse! Anzi, sarebbe il caso che affrontasse al più presto il caso della ditta “Alizoo”, convenzionata col comune di Corleone per l’uso del mattatoio. Il titolare, Salvatore Romeo, non era quello che pagava il “pizzo” alla Cosa Nostra di Provenzano? Il Comune ha chiesto il risarcimento danni a Bagarella, Brusca ed altri? Dopo che questi personaggi sono stati condannati in tutti i gradi di giudizio, compreso la Cassazione, per gli omicidi Giammona-Saporito, è normale il Comune che ha anticipato i soldi per le spese legali chieda il risarcimento alle controparti. Il vero atto di doveroso coraggio l’ha avuto anni fa l’amministrazione Cipriani, che si è costituita parte civile contro questi stessi boss mafiosi, affiancando la signora Somellini.
Attenzione, con questo ragionamento non voglio sminuire per mera propaganda politica la portata delle azioni antimafia dell’amministrazione in carica. Voglio solo sottolineare che non c’è nulla di straordinario. Fanno bene Iannazzo e la sua giunta ad impegnarsi nelle iniziative antimafia. Hanno fatto bene e devono continuare a farlo, attivando sempre nuovi percorsi di legalità, ma senza “gridarli”, anche per non dare l’impressione di cercare a tutti i costi un ritorno di immagine. L’antimafia non si fa per l’immagine, ma perché è giusto farla, perché è giusto sia politicamente sia moralmente.




I DS non hanno fatto nessun apparentamento né con Iannazzo né con Nicolosi. Qual è la sua posizione all’interno del Consiglio Comunale?
Fuori e dentro il Consiglio Comunale stiamo lavorando con Salvatore Schillaci per costruire il Partito Democratico. Ci sono state le prime discussioni e al più presto, anche dal punto di vista formale, si andrà a fare il modo che a Corleone vi sia una presenza del gruppo consiliare del PD. Questo, evidentemente, comporta che si facciano tutti i necessari passaggi per la costruzione del Partito Democratico nella società corleonese e che si vada all’elezione del segretario cittadino e degli altri organismi dirigenti. La mia posizione in consiglio comunale è quella di un consigliere comunale eletto nella lista dei DS, che non sosteneva lo schieramento del Polo capeggiato da Iannazzo. Gli elettori ci hanno assegnato un ruolo di opposizione democratica, cioè di controllo e di indirizzo nei confronti dell’amministrazione in carica. E questo ci sforziamo di fare. Ci troviamo anche al fianco di altri consiglieri comunali, che non sostengono Iannazzo, che si sentono pure loro all’opposizione. E, quando è possibile, cerchiamo di concordare azioni ed iniziative per fare il modo che l’opposizione sia più unitaria, sia la più ampia possibile e quindi in condizione di ottenere dei risultati concreti.



Azzardi una previsione sul possibile segretario del neo partito democratico di Corleone.
Ma io di mestiere non faccio l’indovino. Più che azzardare una previsione, posso tracciare l’identikit di come mi piacerebbe che fosse il nuovo segretario del Pd. Per prima cosa, mi piacerebbe, sarebbe bellissimo, che segretario di questo partito fosse una ragazza o comunque un giovane. Questa è una scommessa da portare assolutamente avanti: guai a fare una battaglia di posizionamento di personaggi che da anni fanno (facciamo) politica a Corleone! Fondamentale è puntare su una ragazza o un ragazzo, elaborare un progetto attorno al quale far crescere un gruppo dirigente e dare una prospettiva a questa città. D’altra parte, questo centro-destra senza idee presente a Corleone, che vediamo amministrare senza bussola o idee-guida, mosso più dall’astio nei confronti di altre fazioni, piuttosto che da un progetto positivo di cose da fare, dimostra che effettivamente c’è bisogno di un Partito Democratico e di un centro-sinistra che riscoprano le ragioni del progetto, mettendo da parte le miopie politiche e gli scontri personalistici del passato.



Quali sono le ricette politiche alla luce della prospettiva del Partito Democratico per recuperare appunto questo consenso e in particolar modo nei confronti dei giovani, ma anche di tutta la cittadinanza?
Bisogna definire un progetto che dia una prospettiva, una speranza a questa città, un progetto che possa parlare ai giovani, che possa parlare ai disoccupati, ai lavoratori, ma che possa parlare anche ai ceti produttivi. Abbiamo bisogno di uscire dall’isolamento, ce lo diciamo da tanto tempo, quindi occorre fare una battaglia affinché l’ammodernamento della strada Corleone-San Cipirello-Partinico si faccia davvero. Tra l’altro, lungo questa strada si sta realizzando l’area artigianale di Corleone, che potrebbe consentire di avere degli investimenti da parte di aziende in grado di creare lavoro e sviluppo. Adesso per questa strada ci sono pure i soldi, quindi bisogna solo avere una Provincia che si ricordi dell’esistenza della zona del Corleonese.
E’ necessario che si diano risposte ai ceti produttivi, attraverso il funzionamento del caseificio. Anche se non è facile, bisogna provarci a metterlo in funzione, magari con un’idea forte, con le necessarie sinergie e cercando di aprire Corleone al “mondo”. Da soli non ce la possiamo fare a rimettere in funzione questo caseificio. Bisogna cercare la collaborazione, l’aiuto dell’Italia migliore, quella che ha a cuore le sorti anche di una realtà come la nostra. Ma, per avere la fiducia del mondo, bisogno essere capaci di meritarsela. Credo che né l’amministrazione Nicolosi, né l’attuale amministrazione Iannazzo, abbiano questo “appeal”. Speriamo che le cose possano cambiare. Il mercato ortofrutticolo è anch’esso uno strumento, un’infrastruttura importante, fondamentale per lo sviluppo, che dobbiamo far funzionare. Non è più possibile continuare ad assistere ai camion dei grossisti che ogni estate vengono a “rubarci” il pomodoro…
Abbiamo, infine, l’esigenza fondamentale di sostenere le cooperative che lavorano sui terreni confiscati alla mafia, sostenerle e aiutarle a svilupparsi, ad affermare un modello di economia diverso, che deve puntare molto sul valore della cooperazione e sul messaggio importante che sui terreni dove fino a pochi anni fa scorazzavano indisturbati i boss della mafia adesso è possibile ricavare lavoro e prodotti puliti. Si sta facendo, ma bisogna fare di più. Credo che ci sia la necessità di affermare un modello di sviluppo economico, che punti molto sulla cooperazione, anche sulla cooperazione “normale”. Non bisogna rinunciare all’idea della cooperazione, oppure farla diventare soltanto una cooperazione finalizzata alla gestione dei beni confiscati alla mafia. Tanti settori economici e tanti servizi è possibile gestirli in cooperativa. Tra l’altro, regioni economicamente molto più forti e più ricche della nostra dimostrano che proprio la cooperazione può diventare la chiave di volta per fare in modo che i lavoratori - insieme - diventino imprenditori di sé stessi.
Io sono segretario della Camera del lavoro “Placido Rizzotto” di Corleone e credo che, oltre a rilanciare in maniera efficace la lotta alla mafia, trasformandola in una lotta culturale, civile ed economica, che consenta di dare una svolta e una risposta diversa alle nostre popolazioni, dobbiamo fare in modo che venga rilanciata anche la lotta per i diritti del mondo del lavoro. Dal nostro osservatorio, notiamo che c’è una violazione dei diritti dei lavoratori di una gravità eccezionale. Non è possibile che vi siano datori di lavoro che pensano di potere utilizzare manodopera giovanile a 300 euro al mese, non esiste! E’ un’offesa alla dignità delle persone. Un paese, una provincia, una regione non potranno mai dirsi moderni e sviluppati, se pensano che la forza lavoro sia un qualcosa di marginale, che costi meno dell’energia elettrica, della bolletta del telefono o di una qualsiasi attrezzatura. Ecco, la cosa che fa rabbia è appunto questo: la forza lavoro, i lavoratori, i ragazzi, le ragazze, sono la risorsa fondamentale di qualunque azienda, ma vengono trattati nel modo peggiore possibile, come se fossero la componente meno importante del processo produttivo. Questo è onestamente inaccettabile, sul piano dei diritti e sul piano della sicurezza. E’ necessario che ci sia un’attenzione particolare da parte degli organi preposti, da parte anche della stessa amministrazione comunale, con protocolli mirati. Qualche settimana fa, la morte in un cantiere di lavoro di Corleone di un operaio (l’inchiesta della magistratura chiarirà dinamiche e responsabilità) ha riproposto il dramma delle morti bianche. Un dramma rilanciato dalle ultime terribili morti di Torino. E’ terribile che la mattina un lavoratore esca di casa per andare a guadagnare un pezzo di pane per sé e per la propria famiglia e la sera ritorni a casa dentro una bara. Questo non deve accadere! Bisogna batterci tutti affinché non accada!


Da: http://www.corleonedialogos.it/

Don Luigi Ciotti: "La memoria ha un costo"

E Provenzano scrisse al boss Messina denaro: «Vorrei un supermarket a Corleone»

di ALESSANDRA ZINITI
PALERMO – Anche Bernardo Provenzano voleva un supermercato. E lo voleva aprire proprio a Corleone, dove è nato e dove è stato arrestato nell’aprile dell’anno corso dopo oltre 40 anni di latitanza. Nella Sicilia occidentale i Despar erano gestiti da Giuseppe Grigoli, arrestato ieri dalle squadre mobili di Palermo e Trapani, e la voglia imprenditoriale del superboss è stata scoperta leggendo i “pizzini” che gli furono sequestrati nel casolare di Corleone dove il boss fu arrestato. Sono più missive che gli erano state inviate da Matteo Messina Denaro (il boss più importante di Cosa Nostra, dopo l’arresto di Provenzano e Lo Piccolo) che con Grigoli gestiva le forniture alimentari dei Despar di Palermo, Agrigento e Trapani. L’ultimo “pizzino” che Matteo Messina Denaro aveva inviato al grande capo di Cosa Nostra è del 25 maggio 2004. «Lei mi dice – scriveva – che occorre per aprire un punto vendita al suo paese; occorre solo la buona volontà di tutti noi, lei mi insegna che quando c’è la buona volontà si possono risolvere tante cose nella vita, le spiego: al suo paese c’è già un punto vendita di questo ed il proprietario è un suo paesano. Le dico cosa possiamo fare per risolvere la questione: lei deve trovare un persona pulita, cioè che non ha mai avuto a che fare con la legge, appena lei ha questa persona io dirò al mio paesano di comprarsi il punto vendita del suo paese e butta il proprietario attuale fuori, però pagandogli il punto vendita per quello che vale, cioè abusi non ne facciamo su nessuno, dopo che il proprietario diventa il mio paesano passa la gestione alla persona che ha trovato lei».
Provenzano risponde sottolineando che ha delle difficoltà a trovare una “persona pulita” e Matteo Messina Denaro lo rassicura dandogli un consiglio: «Anche se lei non ne ha bisogno (di consigli – ndr) al gestore deve fargli fare soltanto il prestanome e lei gli passa un buon stipendio e poi i ricavi della gestione se li prendono i suoi familiari, l’importante è che i rapporti tra il gestore ed i suoi familiari restino sempre all’oscuro altrimenti salta tutto…». Per facilitare le cose a Provenzano («Lei ed io non ci possiamo muovere bene» perché latitanti), Matteo Messina Denaro dice che provvederà anche a mettere il capitale necessario. Per la gestione “normale” avrebbe provveduto l’imprenditore Giuseppe Grigoli, uomo di fiducia di Matteo Messina Denaro, che ieri è stato arrestato su richiesta dei pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Roberto Piscitello, Costantino De Robbio, Marzia Sabella e Michele Prestipino, coordinati dagli aggiunti Giuseppe Pignatone e Roberto Scarpinato.
La Repubblica, 21 dicembre 2007

domenica 23 dicembre 2007

L'esperienza del "Giornale del Corleonese" di 30 anni fa è ancora attuale?

DINO PATERNOSTRO
L’esperienza fatta più di trent’anni fa dal gruppo di ragazze e ragazzi che diede vita al “Giornale del Corleonese” può “parlare” ancora ai giovani d’oggi? È stata questa la domanda attorno a cui – sabato sera - ha ruotato buona parte del dibattito sulla presentazione della ristampa anastatica del “Giornale del Corleonese”. E tutti gli intervenuti hanno risposto affermativamente. Adesso, però, bisogna scendere nel concreto e tirare fuori l’attualità di quell’esperienza, al fine di riproporla nelle forme e nei modi in ciò oggi è possibile. Per questo è necessario aprire un dibattito, che sia lucido, razionale e molto progettuale. Mi assumo l’onere di cominciarlo con due considerazioni-proposte. La prima riguarda le prospettive di sviluppo socio-economico della zona del Corleonese; la seconda, invece, l’ipotesi di far rinascere un giornale zonale con le caratteristiche di partecipazione democratica, che furono proprie del “Giornale del Corleonese”.
Per quanto riguarda lo sviluppo, l’ipotesi su cui puntarono - nel 1975 – i giovani redattori di quel giornale sembra ancora attuale, di estrema attualità. Essa puntava su un’agricoltura di qualità, capace di attivare un’industria di trasformazione dei suoi prodotti; su un artigianato capace di organizzarsi per fare un salto di qualità ed uscire fuori dal mercato locale; su un turismo capace di puntare sull’ambiente sostanzialmente incontaminato della zona, sui beni artistici, paesaggistici e monumentali. Tutto questo presupponeva la realizzazione di infrastrutture stradali, capaci di supportare lo sviluppo. Al riguardo, si puntava sull’ammodernamento della SP2 e della SP4 – le strade provinciali Corleone-S.Cipirello-Partinico – che così potrebbero collegare in maniera veloce e sicura la zona del Corleonese con la Sicilia occidentale (in particolare, con l’agrigentino e il trapanese, e con l’area metropolitana di Palermo, attraverso la veloce Palermo-Sciacca e l’autostrada Palermo-Trapani-Mazara del Vallo). Questa strada è stata giustamente definita da Roberto Tagliavia “La strada dello sviluppo”. Ma il compito di dare il via ad un progetto di ammodernamento della Corleone-S.Cipirello-Partinico è della Provincia Regionale di Palermo, che oggi può contare, oltre che sul proprio bilancio, anche sui finanziamenti aggiuntivi dello Stato (la quota parte dei 500 milioni di euro destinati alla viabilità provinciale di Sicilia e Calabria). Vogliamo rimboccarci le maniche e chiedere alla Provincia (dopo anni di colpevole silenzio) cosa sta facendo in questa direzione?
Anche l’ipotesi di ridare vita ad un giornale zonale, capace di essere palestra di vita democratica, merita un supplemento di riflessione e di dibattito. Io penso che oggi le condizioni ci siano. Se le esperienze di giornalismo locale attualmente in vita, fanno prevalere le ragioni della sinergia e dell’unità, allora l’ipotesi diventa concretamente percorribile. Ma verifichiamo le disponibilità.
d.p.
24 dicembre 2007

sabato 22 dicembre 2007

Corleone, presentata la ristampa anastatica de "Il Giornale del Corleonese"

Sabato pomeriggio, presso i locali del CIDMA, è stata presentata la ristampa anastatica de “Il Giornale del corleonese”, il celebre mensile che dall’Agosto del ’74 al Settembre del ’76, entrò nelle case dei cittadini di Corleone, Bisacquino, Chiusa Sclafani e altri comuni di questo territorio dell’entroterra siciliano.
Il volume, ideato da Dino Paternostro, edito da Città Nuove e patrocinato dalla Provincia Regionale di Palermo, ripercorre fedelmente quel denso periodo di attività redazionale e culturale, di crescita civile di un gruppo di giovani e meno giovani che affidarono a quel giornale i loro bisogni, le loro denunce, le loro speranze e la loro voglia di riscatto. Il Giornale del corleonese, infatti, era certamente un periodico che si occupava di questioni locali, di politica, dei problemi delle classi lavoratrici dei paesi dell’entroterra, delle questioni giovanili che fino ad allora non erano state affrontate, un giornale che faceva parlare i giovani, gli studenti del liceo di Corleone che per la prima volta ebbero la possibilità di discutere dei loro problemi e di farlo pubblicamente. Ma il Giornale del corleonese fu anche il primo vero esperimento di unione delle varie realtà locali che, attorno alla redazione del “corleonese”, cominciarono a discutere in termini nuovi di problemi che interessavano non più i singoli paesi, ma l’intero territorio. Senza dimenticare che l’impegno e la passione di quei ragazzi si doveva necessariamente scontrare con una realtà politica, sociale culturale pesantemente condizionata dall’arretratezza mentale, dal conservatorismo imperante e, soprattutto, dai disvalori mafiosi che imbrigliavano le libertà di tutti, imponevano comportamenti e vietavano parole. Era il “tardo mafioso impero”, quel muro contro cui si infrangeva la fantasia di giovani come Nino Gennaro, allora uno dei collaboratori dl Giornale.
Alla manifestazione di San Ludovico, moderata da Dino Paternostro, erano presenti, oltre ai cittadini intervenuti ai quali è stata donata una copia del volume, alcuni dei fondatori e collaboratori del “corleonese”, l’assessore provinciale Giuseppe Colca e il sindaco di Corleone Nino Iannazzo.
Pino Governali, ex preside del Liceo di Corleone, ha ricordato con piacere e nostalgia quel periodo, in cui si iniziava a pretendere ad esempio che la politica non fosse cosa privata, ma al servizio dei cittadini.
Roberto Tagliavia venne “inviato” a Corleone in quel periodo dal suo partito, il Pci, e partecipò all’esperienza del giornale occupandosi, tra le altre cose, dei problemi legate al lavoro.
Altri interventi sono stati fatti da Pietro Ragusa e Nino Greco, che alcuni anni fa parteciparono all’esperienza del giornale territoriale Viceversa, tra i collaboratori del quale c’eravamo anche noi di Dialogos.
Alla presentazione del volume era presente anche Felice Cavallaro, giornalista siciliano del Corriere della Sera che ha ribadito l’importanza e l’attualità di iniziative come quella del “corleonese”, per imparare a contribuire alla crescita dei territori e delle realtà locali.
Giuseppe Alfieri
www.corleonedialogos.it

22 dicembre 2007
FOTO. Dall'alto: l'intervento di Felice Cavallaro (alla sua sinistra: Giuseppe Marchese, Dino Paternostro; alla sua destra: l'assessore Pino Colca e il sindaco Nino Iannazzo);
Il pubblico nella sala "C. A. Dalla Chiesa" del Cidma.

giovedì 20 dicembre 2007

Corleone, il debutto di Total Request Live On Tour: l'antimafia a suon di musica

CORLEONE – Una piazza Falcone e Borsellino strapiena di giovani ha accolto ieri pomeriggio il debutto a Corleone della prima puntata di TRL – Total Request Live On Tour. Dal grande palco, montato nella piazza, sono stati i conduttori Alessandro Cattelan ed Elena Santarelli a mettere in comunicazione i ragazzi di Corleone e della Sicilia con l’Italia. «Sono contento – ha detto Cattelan - di essere oggi a Corleone. Il mio obiettivo è di portare TRL qui cosi come abbiamo fatto durante tutto il 2007, portando divertimento e musica ai ragazzi di Corleone, esattamente come abbiamo fatto per le altre città d’Italia. Il primo passo è proprio evitare differenze di trattamento». «Sono fiera – ha aggiunto Elena Santarelli - di poter dare il mio contributo a questo progetto importante. Credo sia necessario organizzare manifestazioni di questo tipo per ricordare che la mafia esiste e far riflettere il pubblico più giovane sul fatto ciascuno di noi può dare il proprio contributo per riportare l’attenzione su un problema come la mafia che da troppo tempo affligge la nostra penisola». Musica dal vivo da Corleone, quindi, per dare ai ragazzi siciliani pari opportunità rispetto ai ragazzi d’Italia. Musica dal vivo per dire che i ragazzi d’Italia devono impegnarsi per crescere e combattere insieme la mafia e l’illegalità. La manifestazione di Mtv Italia, infatti, è stata organizzata in collaborazione con l’Associazione “Libera” di don Luigi Ciotti, col Consorzio “Sviluppo e Legalità” e col comune di Corleone. Gli ospiti musicali del programma sono stati I Finley, che hanno dedicato in anteprima al pubblico siciliano il loro nuovo videoclip “Questo sono io”, vedendolo per la prima volta loro stessi. Hanno cantato in diretta, tra l’entusiasmo del pubblico infreddolito in piazza, i loro successi “Adrenalina” e “Domani”. Sul palco di Trl anche la iena PIF, palermitano, che per Mtv Italia ha realizzato “Addio Pizzo”, un divertente e scanzonato documentario sull’organizzazione anti-pizzo, nata in Sicilia, che ha proposto le autorita’ di Gela come senatori a vita, al posto di quelli esistenti. Ed ha invitato tutti a non tacere, «perché il silenzio e’ il più grande complice della mafia». Soddisfatto il sindaco di Corleone, Nino Iannazzo. «Ringrazio Mtv Italia e a Trl per aver sposato una causa nobile come la lotta alla mafia. Questo permette di aprire un nuovo canale di comunicazione con i giovani, categoria a volte marginale di questa realtà». «E’ fondamentale – ha aggiunto - che si riesca ad utilizzare un canale vicino ai giovani, per far sì che un messaggio importante come questo possa essere facilmente recepito e decodificato dai ragazzi. La loro presenza in piazza è un riscontro importante, nonostante il freddo e il mal tempo, perché testimonia ancora una volta la loro volontà di dire no alla mafia, si alla legalità».Le dirette da Corleone, dalle ore 15.00 alle ore 16.00, continuano anche oggi (ospiti musicali i Fabri Fibra) e domani (ospite musicale Zero assoluto). Sono previste partenze gratuite con pulmann da Palermo in Piazza Politeama alle 13.00 di ogni giorno di concerto.
Dino Paternostro
FOTO. Un momento del concerto dei Finley

mercoledì 19 dicembre 2007

Corleone, protestano gli operai della Sicula Ciclat senza stipendio e senza tredicesima

Corleone (*codi*) - Non hanno percepito lo stipendio di novembre, della tredicesima e delle competenze di dicembre neanche a parlarne, così dalle due di notte di ieri mattina gli operai della Sicula Ciclat, hanno bloccato i cancelli dell’autoparco e sono scesi in sciopero ad oltranza con mogli e figli a presidiare la sede dell’azienda che ha in appalto dall’Ato la raccolta dei rifiuti solidi urbani della città e di un territorio che è tra i più vasti della Sicilia. In paese i contenitori non svuotati traboccano e vi sono seri pericoli per l’igiene. Davanti ai cancelli nella notte gli operai hanno acceso dei falò per riscaldarsi e dicono che questa volta, se non arriveranno i soldi, non leveranno il blocco. A presidiare l’edificio dell’ex macello di contrada Santa Lucia, ceduto dalla passata amministrazione comunale alla Ciclat per farne sede ed autoparco, sono arrivati Carabinieri e Polizia. Le mogli dei lavoratori hanno portato i termos con il caffé e qualcosa da mangiare, determinate a continuare la vertenza al fianco dei loro mariti. “La situazione è insostenibile per queste famiglie – spiega Dino Paternostro segretario della Camera del lavoro cittadina – vi sono mamme che non sono in condizioni di comprare il necessario per i loro figli, in qualche caso i bambini con le scarpe logore si sono rifiutati di andare a scuola. Di regali di Natale non se ne parla. Il contratto con la Ciclat andrà a scadere nell’aprile del 2008, ma la Cgil da tempo ne chiede la rescissione immediata.. Sarebbe un buon inizio d’anno se Corleone si liberasse subito della Sicula Ciclat”. Dice Giovanni Mercadante, segretario aziendale della Cgil: “siamo stati costretti a scioperare alla vigilia di Natale dello scorso anno, nei giorni antecedenti la Pasqua di quest’anno e ci troviamo qui ad aspettare ancora una volta quello che è un nostro sacrosanto diritto, il salario”. La Sicula Ciclat ha avuto concesso il servizio di igiene ambientale per affidamento diretto nel 2003, dall’amministrazione comunale guidata dall’allora sindaco Nicolò Nicolosi. Con l’entrata in funzione dell’Ato PA2, il contratto d’appalto è stato ceduto a quest’ultimo, insieme agli automezzi e a 19 unità lavorative. Da circa 18 mesi, il contenzioso tra Comune, Ato e Ciclat ha portato a ritardi nel pagamento delle fatture ed al conseguente ritardato pagamento dei salari ai lavoratori. “Abbiamo puntualmente liquidato all’Ato proprio ieri 85 mila euro – spiega il sindaco Nino Iannazzo - comprendiamo le ragioni dei lavoratori, ai quali chiediamo comunque un atteggiamento che non penalizzi la città. Ho avuto assicurazioni che domani (oggi ndr) la ditta provvederà ad effettuare i pagamenti della tredicesima e delle spettanze del mese di novembre. Qualora non dovessero essere rispettati questi impegni saremo a fianco degli operai per far valere i loro diritti. Parallelamente, abbiamo attivato un tavolo tecnico con Ato e Ciclat per mettere fine a questa annosa vicenda”.
Cosmo Di Carlo
Giornale di Sicilia, 20.12.2007

“Se la gioventù le negherà il consenso… la mafia sparirà come un incubo”

Se la gioventù le negherà il consenso… la mafia sparirà come un incubo”: questa frase di Paolo Borsellino ha dato il titolo alla giornata di riflessione e di memoria che si è tenuta ieri presso l’Auditorium dell’I.I.S.S. “Don G. Colletto” di Corleone, durante la quale studenti, docenti e autorità politiche e non, si sono ritrovati uniti per dire il loro “no” a tutti i fenomeni legati alla mentalità mafiosa. Per l’occasione gli allievi si sono esibiti in una performance, nel corso della quale hanno ricordato con canti e letture, la vicenda di alcune vittime della mafia, da Nicola Alongi a Placido Rizzotto, da Pio La Torre a Rocco Chinnici, da Rosario Livatino, a Rita Atria. Alla tavola rotonda erano presenti l’on.le Giuseppe Lumia, vice presidente della Commissione Parlamentare Nazionale Antimafia, il sindaco del comune di Corleone, dott. Antonino Iannazzo, il dott. Michele Prestipino, magistrato della Procura Distrettuale Antimafia, i giovani di “Addio pizzo” e i ragazzi che hanno partecipato ai campi di lavoro di “Libera”. Molto significativa è stata la testimonianza di Franco Accordino, della squadra mobile di Palermo, che negli anni delle stragi ha lavorato fianco a fianco con coraggiosi uomini e rappresentanti dello Stato come Ninni Cassarà, capo della squadra mobile negli anni della “mattanza” e Antonino Burrafato, componente della polizia penitenziaria di Termini Imerese, ucciso barbaramente per aver voluto svolgere il suo dovere senza cedere alle pressioni di un mafioso. Il figlio, Salvatore Burrafato, presente al dibattito, ha ricordato come la sua vita di sedicenne fosse stata sconvolta da questo evento, dando così voce al dolore delle famiglie colpite dalla ferocia mafiosa . Noi giovani ammiriamo la forza intellettuale che ha animato questi “eroi”, uccisi appunto perché ritenuti tanto intelligenti da poter minacciare il sistema basato sull’omertà e sul consenso che contribuiva ad accrescere sempre di più il potere mafioso. Abbiamo il dovere di non rendere vano il sacrificio di questi uomini, combattendo l’indifferenza e compiendo ogni giorno il nostro dovere di cittadini liberi, perché la mafia esiste ed è una mentalità diffusa anche nella società odierna, c’è ogni qual volta l’esagerato desiderio di potere e di denaro spinge l’uomo a commettere azioni ignobili. Grazie alla scuola e agli esempi quotidiani possiamo affermare la cultura della Legalità, che non è mafia, non è razzismo, non è delinquenza, non è minacciare, non è uccidere, è ben altro: è lottare per la giustizia e la rivendicazione dei diritti di ogni cittadino, anche dei più deboli. Saremo noi coloro sulle cui gambe continueranno a camminare le idee di chi ha amato tanto lo Stato da dare la propria vita per affermare i valori della legalità e della pacifica convivenza. E come era solito dire don Pino Puglisi “se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto”
Giusi Giacopello, (5’M. Classico)
Marta Pinzolo, ( 3’ A- Scientifico)

LA PROPOSTA. Cari discografici, ridateci il vinile

SPETTACOLI & CULTURA. Tramonta anche il Cd: non vogliamo più bene ai "supporti". Ed è un errore

di ERNESTO ASSANTE

Cari discografici chi vi scrive è stato ed è un grande appassionato di musica, un forte consumatore di musica, una persona che per merito del mercato discografico ha potuto conoscere ed amare migliaia, decine di migliaia, di dischi e di artisti. Ed è con grande malinconia, tristezza, che osservo il declino, costante e apparentemente ineluttabile, del mercato discografico odierno, il declino del cd. Ormai non fa più nemmeno notizia. 10 per cento in meno, 20 per cento in meno, il calo costante delle vendite, i licenziamenti, le ristrutturazioni, si susseguono con tale rapidità da lasciare ormai indifferenti gli spettatori, che già immaginano come andrà a finire. La colpa? è del cd, del compact disc. O meglio, la colpa è nostra, degli appassionati, dei consumatori, che si sono disaffezionati al supporto, che non vogliono bene al cd. No, non vi meravigli il termine "voler bene". Chi ama la musica ama anche gli oggetti che hanno saputo contenerla. Il pubblico, i consumatori, hanno amato profondamente i dischi nelle loro successive incarnazioni, dal 78 giri al 45, dall'Lp alla cassetta, fino al cd e all'iPod. Ma la battaglia tra questi ultimi due, il compact disc e l'iPod sembra la stia vincendo il secondo. Il motivo, mi sembra, è semplice: voi discografici avete perso il dominio della copia, che è passato completamente nelle nostre mani, quelle dei consumatori. Da quando la musica è diventata digitale non siete più voi gli unici a poter fabbricare dischi. Con i nostri computer e i masterizzatori siamo in grado di copiare la musica su cd fatti in casa, di produrre compilation, di rimescolare i dischi più celebri, di riprodurre gli album originali, e queste operazioni sono talmente poco costose da farci dubitare del valore di un cd originale. Non solo: mentre fino a qualche anno fa le copie che compravamo dai pirati erano su cassetta, qualitativamente inferiori agli originali su vinile, oggi le copie del mercato pirata sono perfettamente eguali ai cd che si trovano nei negozi.
Certo, non ci sono le indicazioni sui dischi, le copertine sono a dir poco raffazzonate, magari anche le masterizzazioni non sono tra le migliori, ma il risultato è soddisfacente per chi spende i 5 euro (spesso anche meno) richiesti dai venditori di strada. Vi siete mai chiesti il perché? Perché delle copertine dei cd la gente non sa che farsene, perché di quello che c'è scritto sui dischi, stampato in corpo 5, con caratteri illegibili per un occhio normale, nessuno ha notizia. Perché il cd pirata lo si mette in macchina, senza copertina, buttato tra un fazzoletto per il naso e una cartina stradale. Perché il cd non vale più di cinque euro, anche quand'è originale. E non è un oggetto al quale gli appassionati di musica si sono affezionati, non sono oggetti che un appassionato di musica vuole conservare, proprio perché non hanno copertine, non hanno immagini da vedere, cose da leggere, non rappresentano gli artisti e le loro idee, sono solo supporti, non sono la musica. Poi è arrivato l'iPod e i lettori mp3. Per un appassionato di musica è come portarsi in tasca l'Eden, tutta la musica che voglio, che amo, che posso ascoltare come e quando voglio. Mi viene in mente un brano, uno qualsiasi, lo scarico e lo ascolto. E pago. Perché quell'euro a canzone è un prezzo che mi sembra equo, vista la comodità del poterlo portare in tasca e, se voglio, metterlo su un cd. Ho un iPod pieno di musica e lo continuerò a riempire, ma non è questo il modo in cui voglio conservare la musica che amo. Abbiamo, dunque, una modesta proposta da fare. Ridateci il vinile. Ma come, improvvisamente si vuole tornare indietro? Nel bel mezzo della rivoluzione digitale si pensa a tornare al prodotto analogico? No, non preoccupatevi, non è così. O meglio, non è solo così. Nel senso che i modi in cui la gente acquisterà musica nel prossimo futuro potrebbero, dovrebbero, essere tre: tramite file, per chi vuole ascoltare musica con i lettori mp3 o con i cellulari, per chi vuole masterizzare i propri dischi; tramite cd, per chi non vuole fare la fatica di scaricare la musica attraverso i computer o i telefonini, e non vuole perdere tempo con i cd "fai da te", o semplicemente non ama gli mp3 e preferisce tenere centinaia di cd in macchina; con il vinile, per chi vuole conservare i dischi, per chi ama le opere degli artisti e vuole essere legato a queste da un filo emotivo che è tenuto dall'oggetto stesso. Il disco in vinile non è un "supporto" ma è l'opera. Dark side of the moon, o Stg. Pepper, o Highway 61, non sono collezioni di canzoni, sono "dischi". Così come i Promessi Sposi non sono uno scritto ma un libro. Il libro non è un supporto cartaceo, è l'opera stessa. Che non può essere copiata se non in qualcosa che libro non è. E il vinile non può essere copiato se non su cassetta o cd, il dominio della copia in vinile non è mai passato nelle mani di noi consumatori e appassionati. E il disco in vinile si rovina, si graffia, s'impolvera, se io voglio bene al disco voglio e debbo conservarlo. Il disco in vinile ha una copertina che è parte integrante del disco stesso, identifica l'opera, la illustra, in qualche caso la spiega. Ed è un oggetto come questo che gli appassionati di musica vogliono avere, vogliono conservare. Non il cd, che invece è piccolo, portatile, comodo, adatto ad essere messo in auto o portato in giro. Cd che posso perdere o che si può anche rovinare, perché al massimo ne posso masterizzare un altro, perfettamente identico al primo. Ridateci il vinile, ridateci la possibilità di avere dischi che durano trenta, quaranta minuti, fatti di canzoni e brani che gli artisti hanno voluto metterci, senza inutili e insulsi riempitivi. Ridateci il vinile, ridateci un oggetto che magari si sente peggio, che non è portatile, che è grande e scomodo, ma che rappresenta la musica quanto la musica che contiene. Ridateci il vinile, che ha un valore intrinseco che nessun cd riuscirà mai ad avere. Ridateci il vinile, assieme ai file mp3 e ai compact disc, utili ognuno per un motivo diverso. Certo, magari guadagnerete meno, magari i clamorosi fatturati che l'industria discografica ha fatto da quando è arrivato il compact disc non li vedrete più, ma di sicuro non perderete l'anima e il lavoro. Il lavoro lo state già perdendo, l'anima la state per perdere, trasformandovi in venditori di magliette, poster, gadget, venditori di diritti televisivi e radiofonici, produttori di concerti e di dvd, di certo non più "discografici". Ridateci il vinile e provate a salvare il vostro, nostro, mercato della musica, abbandonando l'idea di vendere pezzi di plastica e tornando a vendere dischi.

(La Repubblica, 19 dicembre 2007)

l comandante generale della Gdf D'Arrigo: "Quella lettera non l'avrei scritta, nel Corpo ho trovato opposte fazioni"

"L'ex comandante è fuori dalla realtàcosì cambierò la Guardia di Finanza"

di CARLO BONINI

ROMA - Il Comandante Generale della Guardia di Finanza, Cosimo D'Arrigo, siede sul lato lungo del piccolo tavolo di lavoro del suo ufficio in viale XXI Aprile. Generale, Roberto Speciale prima le ha dato del "poveretto" e dell'abusivo, annunciando il suo rientro. Poi, si è dimesso da un incarico in cui nessuno lo aveva reintegrato con una lettera in cui ha messo in mora il legittimo potere costituzionale del Governo, ordinando al suo capo di Stato maggiore di trasmettere la missiva all'intero Corpo. Lei, il primo giugno scorso, nel suo primo ordine del giorno da Comandante generale, scrisse: "Di Roberto Speciale ho apprezzato il profondo senso dello Stato e delle Istituzioni, l'intimo, radicato culto dei valori e delle regole, lo straordinario spirito di servizio verso la nostra Patria!". Userebbe ancora queste parole?
"Innanzitutto, tengo a dire che, come forse lei saprà, il capo di Stato maggiore non ha dato alcun seguito alla richiesta di Speciale. Perché nessun seguito legittimo quella richiesta poteva avere. Detto questo, sarò molto franco. Sette mesi fa espressi quel giudizio sulla base di una conoscenza e di un'amicizia che dura da 42 anni e che oggi confermo, non certo per malinteso senso di generosità. Ma in questi sette mesi sono accadute molte cose. E' un altro film. La situazione è degenerata e il generale Speciale, che ha continuato ad agire per fatto personale, ha perso il senso della realtà. Perché, vede, la lettera di dimissioni da un incarico che non aveva e in cui non avrebbe mai potuto essere reintegrato è una lettera fuori dalla realtà. Dico sempre ai miei collaboratori, che ciascuno di noi ha il suo tempo. Il tempo di Speciale è finito. Lui ha deciso che è finito in una certa data. Per me era finito molto prima".

E' qualcosa di più e di peggio di una lettera fuori della realtà. E' un manifesto di infedeltà istituzionale.
"Io non so perché l'abbia scritta. So soltanto che è stato anche sollecitato da alcuni amici dentro e fuori la Guardia di Finanza i quali sostengono che volesse fare "un bel gesto" per liberare il Corpo dall'imbarazzo. Ma non voglio essere ambiguo. E dunque le dico chiaramente che non solo non condivido nulla dei contenuti di quella lettera, ma che i principi della nostra Costituzione prevedono che in caso di conflitto tra Autorità politica e autorità militare, i generali debbano giustamente perdere. Sempre".
A proposito di ambiguità, in questi sette mesi lei ha taciuto. Quasi a conferma di quel che si diceva di lei il giorno della nomina. D'Arrigo è un re Travicello che non riuscirà a spostare neppure un posacenere.
"Non sono un re Travicello e, al di là dell'apparenza, non ho neppure un buon carattere. In questi sette mesi, anche facendo violenza a me stesso, mi sono imposto il silenzio per chiudere con un passato che non ci deve più riguardare. Per disgiungere il problema personale di Roberto Speciale dai destini e dall'immagine di un Corpo di 60 mila donne e uomini. Io dovevo spegnere rapidamente un antagonismo strisciante che attraversava ufficiali di grado elevato del Corpo e non prestare il fianco a strumentalizzazioni interne. Dovevo capire dove stavo, cosa era la Guardia di Finanza e, soprattutto, capire di chi mi potevo fidare non solo dal punto di vista professionale, ma della coerenza con le istituzioni".
Che significa "coerenza con le istituzioni"?
"E' coerente con le istituzioni un finanziere che pensa che la Guardia di Finanza è un'istituzione dello Stato, una risorsa del Paese, non uno strumento buono per l'affermazione di interessi privatistici, di parte. E mi riferisco non solo agli interessi di parte espressi dalla politica, ma anche agli interessi economici. La Guardia di Finanza è un'arma letale. E' una macchina delicata, con le sue criticità, che deve essere tenuta al riparo da tentazioni. Siamo tutti uomini e viviamo immersi nello stesso contesto. Ma la Guardia di Finanza deve essere un'istituzione neutrale. E guardi che non sto parlando solo di un desiderio, ma di un progetto da coltivare quotidianamente".
E quando lei ha assunto il Comando che grado di "contagio" ha registrato?
"Ho avvertito degli schieramenti, delle fazioni. Come dicevo, inevitabilmente, gli ufficiali del Corpo sono funzionari dello Stato esposti. Ma proprio per questo, proprio per comunicare quel concetto di neutralità, non mi sono avventurato nel gioco delle appartenenze e delle opposte fazioni".
Che però esistono. Nella passata legislatura, la Guardia di Finanza di Roberto Speciale è stata uno snodo cruciale di un sistema di spionaggio illegittimo a fini politici che ha visto l'intelligence del Corpo, con il suo II Reparto, lavorare in perfetta osmosi con il servizio segreto militare diretto dal generale Pollari, ex capo di stato maggiore della Finanza. Non c'è stata vicenda cruciale della vita democratica del Paese, dalle scalate bancarie agli accessi abusivi alle banche dati tributarie, alla violazione del segreto istruttorio su notizie politicamente sensibili, che non abbia visto al lavoro dei finanzieri. Non crede che ignorare il problema e dire semplicemente che si volta pagina non sia sufficiente?
"Io non ero qui fino a sette mesi fa, e ho visto una volta sola il generale Pollari, cui, come gesto di cortesia, ho offerto un caffè nel mio ufficio. Io posso dire dunque cosa farò di qui a qualche settimana. La cosiddetta intelligence della Guardia di Finanza, il II Reparto, così come è stato conosciuto, non esisterà più. Sarà riorganizzato. La cosiddetta intelligence della Finanza si occuperà di analisi di fonti aperte, di analisi di banche dati, e terrà rapporti con i nostri ufficiali presenti all'estero nelle ambasciate. Lo spionaggio sarà fatto da chi istituzionalmente lo deve fare, i Servizi. La Guardia di Finanza farà polizia giudiziaria e tributaria, lotta all'evasione".
E il patrimonio di informazioni accumulato in questi anni che fine farà? E come sarà possibile ricostruirne l'uso che ne è stato fatto? Individuare i soggetti cui è già stato consegnato?
"Conosco da una vita e sono amico dell'ammiraglio Branciforte, nuovo direttore del Sismi. E insieme stiamo lavorando proprio a questa materia. Per altro, il Sismi ha cominciato a restituire al Corpo, anche se in numeri ancora molto esigui rispetto all'esodo d'origine - parliamo di una quindicina di effettivi, al momento - sottufficiali che erano transitati al Servizio nella precedente gestione. I finanzieri che rimarranno al Sismi saranno impiegati esclusivamente in attività di spionaggio e contrasto alla criminalità economica, ai grandi traffici illeciti. Le informazioni sin qui raccolte resteranno patrimonio del Corpo e delle sue banche dati, sotto la responsabilità del Comandante generale".
Perché siete stati reticenti sull'uso che è stato fatto nella precedente gestione dei fondi riservati?
"Non siamo stati affatto reticenti. Abbiamo semplicemente ricordato al Parlamento quali sono le procedure che governano l'uso di quei fondi. Che il comandante generale è responsabile dell'intero impiego delle somme in bilancio e che non esistono giustificativi di dettaglio di quelle spese. Oggi, insomma, io sono in grado, per il passato, soltanto di sapere quanto denaro è stato speso, da chi, per autorizzazione di chi e quando. E sono informazioni che, se mi verranno richieste dalla Procura militare di Roma o dalla Corte dei Conti, non avrò nessuna difficoltà a fornire. Detto questo, ho stabilito che d'ora in avanti, i fondi riservati vengano distribuiti per intero soltanto agli uffici periferici per contribuire a far fronte a spese che le nostre limitate risorse spesso non ci consentono di coprire".
In 4 anni, Speciale ha distribuito 500 encomi solenni, di cui hanno beneficiato 100 ufficiali. Non crede che questo sia sufficiente a predeterminare le carriere e dunque il futuro dell'intero Corpo. Ad assicurare continuità con la passata gestione?
"Le rispondo di no. E con assoluta certezza. Prima di Natale, varerò un piano di impiego che prevede l'avvicendamento di circa il 60 per cento degli ufficiali in posizioni di comando su tutto il territorio nazionale. E nelle decisioni che abbiamo preso in Commissione avanzamento, quegli encomi solenni cui lei fa riferimento non hanno pesato. Per un motivo molto semplice. Ne ho esaminato una per una le motivazioni e la legge di avanzamento non prevede che faccia carriera chi ha più encomi. Ma chi è più capace. Per altro, tengo a dire che, oggi, dopo sette mesi, i generali di corpo d'armata sono su questo punto assolutamente coesi con le mie posizioni. Le dirò di più. Ho detto che, personalmente, non darò più di un encomio solenne l'anno. E che quella decisione dovrà essere condivisa dal basso. Dai comandi territoriali".
Anche a Milano ci saranno avvicendamenti?
"Anche a Milano. Perché Milano non è diversa da altri comandi e deve dunque essere una piazza soggetta al naturale turn-over di qualunque altra importante città".
E' ancora convinto che il ponte aereo di spigole e gli elicotteri di Speciale, i voli assicurati ai politici siano, come ebbe a dire all'Espresso, episodi destinati a risultare "meno pregnanti di quel che appaiono"?
"Per noi, la storia delle spigole e dei voli è un terribile macigno che faticheremo a rimuovere. Le dico però che a me le spigole non piacciono e che se a Orvieto è più conveniente andare in macchina che in elicottero, vado in macchina, perché me ne frego dell'immagine. Detto questo, il ministro Padoa Schioppa mi ha chiesto di verificare le procedure che regolano i voli assicurati alle autorità, per renderle più stringenti e sobrie. E' una cosa che farò immediatamente. Tengo anche a dire che, come deciso circa due anni fa, stiamo ammodernando la flotta aeronavale, il che ci consentirà di renderla più efficiente e meno costosa, tagliandola del 40 per cento".
Il viceministro Vincenzo Visco è stato crocifisso per essersi azzardato a denunciare in solitudine nel palazzo della politica "anomalie" nel funzionamento della Gdf. Dopo quel che lei ha detto e promette di fare, aveva poi così torto?
"Il ministro Visco non è un passante. Ha la legittimità e l'autorità di chi è stato eletto democraticamente. Ha delle prerogative politiche che esercita e dunque il diritto di indicare, come ogni ministro, di qualunque colore sia il governo, delle priorità e degli obiettivi cui un comandante generale è tenuto a dare corso. Io ho avuto l'incarico di colmare il gap, il vuoto, che si era aperto tra l'Autorità politica e il Corpo. E sto lavorando per questo".

(La Repubblica, 19 dicembre 2007)

martedì 18 dicembre 2007

Quel gruppo di fanatici sognatori

di Giuseppe Cerasa*

Tutto cominciò con un camion polveroso, con dei ragazzi polverosi, con delle stalle polverose. Tutto cominciò con una raccolta di carta per autofinanziare il primo numero del Giornale del Corleonese. Ci toccò ripulire decine di cantine a Chiusa, Giuliana, Bisacquino, sotto gli occhi, a volte diffidenti, a volte affettuosamente compiaciuti, di chi vedeva quel drappello di matti, sicuramente comunisti, figli di piccoli borghesi o contadini agiati, rovistare nelle soffitte, nei garage. E poi pigiare su un camioncino grigio, polveroso, inguardabile, centinaia di chili di carta, di indecenze stampate e mai lette, per arrivare infine al macero e tirar fuori quelle 100 mila lire che sarebbero servite a finanziare un sogno. A far sbocciare l’idea che una piccola, agguerrita, informazione non omologata, potesse servire a cambiare il volto del Corleonese.
Con un giornale? Si, con un giornale. Noi volevamo contribuire a creare una nuova classe dirigente, capace di battere mafia e prepotenti, capace di portare luce e cultura in luoghi mai baciati dalla sorte, condannati al sottosviluppo e alla malversazione.
Progettualità, idee, consensi, indipendenza: parole d’ordine che si traducevano in voglia di libertà e di democrazia. E giù con i primi servizi, con le prime inchieste firmate da Franco, Maurizio, Nino, Pietro, Rosa, Michelangelo, Dino, Francesco, Anna Maria, Roberto, Ciro, Giuseppe e ancora Francesco. E giù con le assemblee per cercare di sensibilizzare la gente alla vigilia di elezioni amministrative apparentemente decisive (mai nulla é decisivo). Lo chiamammo il “giornale parlato” perché volevamo raccontare ai contadini, ai muratori, alle donne, agli studenti, agli impiegati, gli scenari di un sogno possibile.
A Prizzi fu un trionfo, a Giuliana anche, a Chiusa c’erano solo posti in piedi, a Bisacquino vennero anche i preti e qualche sciacallo politico che voleva provare a succhiare voti e consensi. Ebbe apparente fortuna, poi finì male e di lui si son perse, per fortuna, le tracce.
Poi arrivarono altri amici, il giornale si ingrandì, arrivò ad avere collaboratori a Bolognetta, Lercara, Marineo, Godrano. Si stampavano migliaia di copie. Il Giornale del Corleonese in edicola a Palermo (prezioso fu l’aiuto di Nicolò). Si puntò all’estero, provammo a far leva sui nostri emigrati che avevano voglia di sapere, che avevano bisogno di sperare. Nacque un ponte culturale e informativo con la Svizzera, con la Francia, la Germania, il Belgio, l’Inghilterra, gli Stati Uniti, l’Australia, l’Olanda.
Si pensò ad un certo punto che il giornale potesse diventare quindicinale, poi anche settimanale. Noi continuammo a lavorarci senza beccare un soldo, ci buttavamo l’anima, discutevamo a volte anche animatamente, macinavamo serate ed esperienze irripetibili, dimostrando di essere uno sparuto nucleo di fanatici sognatori senza pudore.
Da una costola del giornale nacque finanche una cooperativa (quell’Alberobello nata per dimostrare come si possono saltare le intermediazioni e favorire dal basso lo sviluppo di contadini e campagne. Concetti di altre epoche. Purtroppo.
Per anni funzionò, e come se funzionò, e funziona ancora. Anni di gloria. Anni di speranze. Anni di vedrai che il mondo sta per cambiare. Poi accadde che il nostro sogno si infranse. Non ci furono litigi. Accadde che nuovi orizzonti si aprirono e alcune individualità decisero di esprimersi in modi differenti. E venne il tempo delle verifiche, dei bilanci, del buio. Ritornò a trionfare l’indifferenza. Venne il tempo della politica: qualcuno ci provò, qualcuno ci riuscì. Chissà se é servito.
La nostra vita nel frattempo é cambiata, quella del Corleonese non lo so. Ma la voglia di credere e lottare per un futuro migliore, per un futuro realmente libero, vi garantisco, non finirà mai.
* allora direttore responsabile del Giornale del Corleonese
FOTO. Il primo numero del giornale

lunedì 17 dicembre 2007

Placido Rizzotto: il giallo delle ossa sparite nel nulla. I familiari e la Cgil: "Trovateli"

I resti di Rizzotto, segretario della Camera del lavoro di Corleone, assassinato dalla mafia del feudo il 10 marzo 1948, si sono persi tra i tribunali. Ma i familiari e la Cgil non si rassegnano: li vogliono trovare per dare una tomba al sindacalista...

di FRANCESCO LA LICATA

«Trovate i resti di mio zio. Saranno certamente custoditi in chissà quale scaffale polveroso di qualche tribunale. Non posso credere siano andati perduti: ho troppo rispetto per le istituzioni e per la Giustizia di questo Paese per rassegnarmi ad una simile negligenza». Questo l’appello accorato di Placido Rizzotto, impiegato del Banco di Sicilia di Palermo, sindacalista come l’omonimo zio, ucciso dalla mafia di Corleone nel 1948 e rimasto senza sepoltura proprio per l’assenza di una prova che certificasse l’avvenuto ritrovamento del suo cadavere, gettato nella profondissima foiba di Rocca Busambra, tanto accidentata da risultare impenetrabile.Placido Rizzotto «il giovane» ha 56 anni e vive a Palermo. Da qualche anno conduce una solitaria battaglia nel tentativo di dare sepoltura allo zio, eroe siciliano amato e ricordato, immortalato con un busto nella piazza principale di Corleone, ma privo di sepoltura. Adesso è rimasto lui, Placido, dopo che sono venuti meno il padre, Nino, fratello del sindacalista assassinato da Luciano Liggio, e quattro delle cinque sorelle nate dal secondo matrimonio del padre. Vive ancora Giuseppina, che riconobbe gli indumenti trovati a Rocca Busambra dall’allora capitano Dalla Chiesa. E vive anche Lucia, la mamma di Placido «il giovane», che la sera della scomparsa di Rizzotto, il 10 marzo del 1948, partecipò alle vane ricerche del segretario della Camera del Lavoro di Corleone, sequestrato, massacrato e gettato nella «ciacca» della montagna.«E’ incredibile - insiste Placido - che non si riesca a sapere che fine abbiano fatto quei resti recuperati il 14 dicembre del 1949. Si trattava di ossa, e c’era anche una teca cranica coi capelli. Oggi sarebbe troppo facile, attraverso il confronto del Dna, risalire all’identità di quel corpo. Ma quei reperti non si trovano. E non si trovano neppure gli abiti: un elastico reggicalze, una camicia, le scarpe che mio padre conosceva bene perché le aveva indossate, dato che a quei tempi era abbastanza frequente che i fratelli si scambiassero gli indumenti». Ma il riconoscimento non bastò? «Per Dalla Chiesa - risponde Placido - sì, tanto che sulla base di quelle prove mandò a giudizio Luciano Liggio e i suoi complici. Ma la Cassazione, alla fine, decise che non c’era la certezza che quei resti fossero di mio zio».Ci sono i boss, ma lui noLa sentenza romana fece da pietra tombale all’intera vicenda, in un clima di rimozione della mafia che permetteva passassero inosservati i 56 sindacalisti assassinati, dallo sbarco degli americani al dopo Giuliano. Ma la famiglia Rizzotto non ha dimenticato e si chiede come sia possibile che il cimitero di Corleone possa ospitare la tomba di Luciano Liggio e di tanti altri capimafia, mentre all’eroe dell’antimafia sia negata la sepoltura.«Nel marzo dell’anno prossimo - ricorda Placido - cade il sessantesimo anniversario dell’assassinio. Sarebbe bello se per quella data si potesse avere la certezza sui reperti e finalmente dare riposo a mio zio. Noi ci siamo rivolti a tutti quelli che potevano aiutarci. Le Camere del Lavoro di Palermo e di Corleone hanno intrapreso contatti con la Commissione antimafia».Il vicepresidente dell’organismo parlamentare, Giuseppe Lumia, conferma. «Una prima ricerca - dice - cominciata qualche anno fa, a Palermo e a Roma, non ha dato buon esito. Non si è riusciti a ricostruire il percorso negli anni toccato a quei resti. La Commissione, però, farà in modo che un esperto si dedichi esclusivamente alla ricostruzione del percorso giudiziario, attraverso gli archivi dei corpi di reato, di ciò che resta di Placido Rizzotto. E’ un impegno che dobbiamo alla famiglia e alla memoria dei siciliani. Contemporaneamente faremo in modo di ottenere che la magistratura possa disporre una nuova ispezione della foiba di Rocca Busambra, nella speranza di trovare altri reperti».La foto e le lacrimeL’operazione non dovrebbe essere particolarmente difficile. «La bocca di quella fossa comune - aggiunge Placido Rizzotto - fu chiusa, murata per ordine dell’allora ministro dell’Interno Scelba. Quello che c’era là dentro, perciò, non dovrebbe essere stato alterato da elementi successivi alla data della prima ispezione». Ma anche i reperti già trovati potrebbero funzionare per la prova del Dna, se ci fosse un elemento di raffronto. «Il campione esiste», rivela Placido. «Io stesso lo conservo in cassaforte. Quando mio padre si trovava sul letto di morte, nel 2001, gli tagliai una ciocca di capelli e la conservai, proprio per non precludere alcuna strada ai tentativi di riconoscere i resti dello zio. Quei capelli sono al sicuro, se si trovassero quelli raccolti a Rocca Busambra forse potremmo sperare in qualche certezza». Già, perché i Rizzotto non si arrendono facilmente.Anche Lucia, ormai avanti negli anni, mostra la foto del cognato e piange. E ricorda che il figlio, Placido, porta quel nome in memoria dello zio, lui che è nato due anni dopo la morte di «Rizzotto il segretario della Camera del Lavoro di Corleone».
La Stampa, 17 dicembre 2007
FOTO. Un'immagine inedita di Placido Rizzotto, donataci dai suoi familiari, che ringraziamo.

Gramsci e Schucht: Amore e rivoluzione

di Antonio Gramsci Jr.

Ogni volta, quando passo vicino al Mausoleo di Lenin, cerco di accelerare i passi e di allontanarmene al piu presto possibile. Non sono riuscito mai in tutta la mia vita a sopraffare un senso di ribrezzo e di orrore. Nel vedere come - esposti agli sguardi spietatamente curiosi - giacciano i resti inermi di quello che una volta era il caro amico della nostra famiglia. Tutto comininciò nel lontano 1887, quando nella casa penale di San Pietroburgo si incontrarono due donne, Otillija Winterchalter e Maria Uljanova. La prima era la madre di Apollo Schucht, mio bisnonno. La seconda, quella di Aleksandr Uljanov, fratello di Vladimir, futuro Lenin. I due giovani rivoluzionari reclusi, erano strettamente legati alla «Narodnaja Volja», ma i loro impegni in questa organizzazione sovversiva erano diversi. Aleksandr apparteneva all’ala terroristica che fra l’altro preparava l’attentato allo zar Alessandro III. Apollo si occupava della propaganda marxista nei circoli rivoluzionari militari, alla cui formazione egli si dedicò all’inizio degli anni ottanta durante gli studi nel ginnasio militare. L’obiettivo di questi circoli lo ha descritto molto chiararamente lo stesso Apollo nelle sue memorie: «Poiché dopo il 1881 Narodnaja Volja non poteva seguire lo stesso percorso (in quell’anno fu ucciso lo zar Alessandro II, dopo di che il governo scatenò la rappresaglia contro i rivoluzionari), tutti quelli che volevano continuare la lotta comininciarono a cercare altre vie. Una di queste consisteva nella ricerca tra i quadri militari delle persone giuste. Dopo la loro preparazione adeguata si poteva sperare che al momento giusto (la rivoluzione) essi avrebbero sostenuto la nostra causa...».Dopo il processo sommario Aleksandr fu impiccato, Apollo invece fu condannato all’esilio in Siberia dove lo seguì la moglie Giulia con due figlie. Dopo tre anni di esilio la famiglia si trasferì a Samara, una bellissima città sul Volga, dove gia abitava Vladimir Uljanov con sua madre e sorelle. Tra le due famiglie nacque subito una calorosa amicizia. Nel 1893 gli Schucht emigrarono, però non persero i contatti con gli Ulianov. Lenin veniva spesso a trovare Apollo in Svizzera. Vedeva crescere mia nonna Giulia e le sue sorelle. Di una di esse, Asja era stato addirittura il padrino. La sorella maggiore di Giulia, Eugenia, forse «la più bolscevica» di tutta la famiglia, ricorda nelle sue bellissime memorie le monellerie infantili dello «zio Vladimir» durante la festa nazionale a Ginevra nel 1905. Quest’immagine di Lenin mascherato da orso che cosparge i bambini di confetti e li fa crepare dalle risate è discordante con quell’altra, scoperta nelle «nuovissime ricerche» dei nostri bravi storici, di una persona tetra e completamente priva del senso di umorismo. Nel 1916, probabilmente su richiamo di Lenin, Apollo ritornò in Russia dall’emigrazione. Essendo un bravo amministratore diventò ragioniere nella sezione del Partito a Mosca. Subito dopo la rivoluzione Lenin lo nominò commissario responsabile della nazionalizazione delle banche. E lo stesso Apollo ricorda che «a tutti i dipendenti che acconsentivano di collaborare con le nuove autorità, furono concessi gli stessi incarichi che avevano prima». Lenin a differenza da Stalin trattava sempre con il massimo rispetto i vecchi specialisti disposti a collaborare.Nel 1919 Lenin scrisse la raccomandazione per Eugenia Schucht per la sua iscrizione al Partito. In seguito lei diventò segretaria di Krupskaja nel Comissariato (ministero) dell’Istruzione popolare. Dopo la morte di Lenin Apollo e Eugenia continuarono i rapporti con le sue sorelle, soprattutto con Anna Uljanova che spesso aiutava gli Schucht nei momenti difficili. Insieme ad Anna, Eugenia cominciò a tradurre le opere di Lenin in italiano. Negli anni trenta, quando Stalin si liberò di quasi tutti gli amici di Lenin, la famiglia Schucht invece fu risparmiata, probabilmente grazie alla parentela con Antonio Gramsci (il trattamento della famiglia Schucht da parte di Stalin, è esaminato nel libro di Giuseppe Vacca e Angelo Rossi Gramsci tra Mussolini e Stalin). Anche mio nonno Antonio Gramsci ebbe occasione di conoscere Lenin personalmente. Stranamente questo fatto della vita di Gramsci sembra essere sconosciuto ai suoi biografi italiani. La notizia sul loro incontro si trova invece in un volume delle cronache biografiche su Lenin. In quel tempo nonostante la grave malattia Lenin seguiva con attenzione le vicende italiane e non rinunciava a qualche colloquio su questioni internazionali di cui desiderava informazioni dirette dai compagni da lui particolarmente stimati. Non gli potè sicuramente sfuggire il fatto che Gramsci aveva conosciuto i suoi vecchi amici Schucht. L’incontro avvenne il 25 novembre del 1922, alle ore 18, nell’ufficio di Lenin al Cremlino. Su questo incontro abbiamo un’altra testimonianza importante riferita nella lettera del 1972 di Camilla Ravera a mio padre Giuliano: «Caro Giuliano, circa l’incontro di Gramsci con Lenin a cui accenni, e di cui desideresti qualche particolare, non posso dirti molte cose. Gramsci si riferì spesso a quell’incontro nel corso delle lunghe conversazioni che io ebbi con lui durante la mia permanenza a Mosca, ma sempre accennandovi in rapporto alle questioni politiche di cui in quel momento particolarmente ci occupavamo. Non ricordo, ad esempio, se mi disse la data precisa di quell’incontro; o altri particolari circa il luogo e il modo, che dovettero essere poco diversi da quelli dell’incontro con Lenin che nei primi giorni del novemre potemmo avere Bordiga ed io... Durante quelle nostre conversazioni Gramsci mi disse di aver espresso a Lenin il suo profondo dissenso con Bordiga, non soltanto sul problema dei rapporti con il Partito Socialista, ma sul giudizio del fascismo, della situazione italiana, delle sue prospettive... «Lenin, mi diceva Gramsci, conosce le cose nostre assai più di quanto supponiamo»...Lenin volle conoscere direttamente il pensiero di Bordiga sui nuovi avvenimenti italiani....Ascoltò con evidente meraviglia le sue opinioni, rigide ed astratte (invece due anni prima Lenin sanzionò la rottura a sinistra ideata da Bordiga) ...Forse, da quella conversazione avuta con Gramsci e dalla seguente con Bordiga, può essere derivata - in Lenin e nell’Internazionale - la decisione, presa dopo breve tempo che Gramsci, non rientrasse in Italia, ma si riavvicinasse al Partito, trasferendosi a Vienna, con un proprio ufficio, e là riprendesse la pubblicazione della rivista L’Ordine Nuovo; e quel lavoro verso i compagni che - svilluppato poi successivamente nell’azione politica in Italia - portò al superamento del bordighismo...». Da questa testimonianza possiamo supporre che Lenin, con il suo intuito infallibile, dando piu ragione a Gramsci, decise di promuoverlo al leader del Partito Comunista Italiano.
L'Unità, 17.12.07

La Biografia Politica dello storico Francesco Renda

L'Intervento di Giovanna Fiume nella sala delle capriate di palazzo Steri, sede dell'Università di Palermo

VIDEO UNO


VIDEO DUE

Arrestato l'infermiere di Provenzano. Il boss scriveva: "Come si cura l'impotenza?"

ESCLUSIVO. Arrestato l'uomo che il padrino segnava con il misterioso "codice 60" e a cui ricorreva per consigli sulla salute. E' Gaetano Lipari, di Altavilla (Palermo), consigliere comunale, in contatto con il deputato regionale di Forza Italia Giovanni Mercadante, in carcere per mafia

di SALVO PALAZZOLO

PALERMO - Per più di un anno e mezzo è rimasto un giallo: chi si nascondeva dietro il misterioso "codice 60" segnato nei pizzini di Bernardo Provenzano? Chi era il sanitario che si prendeva cura della salute del capo di Cosa nostra? Tutti gli indizi per individuarlo stavano in quei biglietti ritrovati dalla polizia nel covo del padrino, al momento dell'arresto, l'11 aprile 2006. Il rompicapo ha oggi una soluzione: le indagini hanno portato a Gaetano Michele Arcangelo Lipari, 47 anni, infermiere in servizio all'Ausl 6 di Bagheria, consigliere d'opposizione al Comune di Altavilla Milicia (Palermo), eletto in una lista civica e vicino a Forza Italia. La squadra mobile di Palermo e il reparto operativo dei carabinieri l'hanno arrestato questa mattina, su ordine del gip Maria Pino, così come avevano chiesto il procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone e i sostituti Michele Prestipino, Nino Di Matteo e Marzia Sabella. "Il 60 ha il giovedì libero", era il primo indizio che si leggeva fra i pizzini. E ancora: "All'inizio di aprile 2006 ha avuto la febbre". Provenzano avrebbe dovuto incontrare il suo infermiere di fiducia giovedì 20 aprile, ma fu arrestato prima. "123 è in contatto con 60", scriveva il padrino ai suoi uomini, per organizzare quella visita. Il posto sarebbe stato scelto da "15", "ma 15 non deve incontrare 60". Dopo giorni di preparativi, tutto era pronto. Così scriveva "123" a Provenzano: "60, l'ho incontrato lunedì scorso (...) gli ho detto di portarsi una puntura e l'occorrente per gli esami, per lui va bene il mercoledì sera per tornare venerdì mattino". Il codice 123 informava infine il collega 5: "Con il volere di Dio, giovedì 20 aprile". Da queste tracce i magistrati sono partiti per decifrare un altro pezzo del codice Provenzano. Il primo numero a essere interpretato è stato "123": era Carmelo Gariffo il nipote prediletto di Provenzano, che da Corleone non poteva spostarsi perché aveva l'obbligo di dimora. Il "15" era Bernardo Riina, il custode del covo di Montagna dei Cavalli. Chi era il codice 60? La squadra mobile diretta da Piero Angeloni e il servizio centrale operativo della polizia hanno incrociato presto le indagini dei carabinieri su alcuni insospettabili di Altavilla, centro a 25 chilometri dal capoluogo siciliano: fra loro, c'era un infermiere in contatto con il deputato regionale di Forza Italia Giovanni Mercadante, medico radiologo che nel luglio 2006 è finito in carcere con l'accusa di essere stato vicino a Provenzano. Così Lipari diceva al telefono a Mercadante: "Giovanni, noi siamo sempre qui ad aspettarti, a darti sempre una mano d'aiuto perché sei un amico nostro, ora lasciando stare la politica, ti aspettiamo sperando di poter crescere in maniera più forte Giovanni...".
Lipari non era proprio un insospettabile: è risultato essere cugino di Pino Lipari, il consigliere di Provenzano per gli affari economici e politici. Una veloce verifica ha portato a scoprire che l'infermiere si era assentato dal lavoro dal 22 al 25 marzo 2006, per malattia ("Il 60 ha avuto la febbre", era scritto nei pizzini). E soprattutto che un lunedì, il 3 aprile 2006, era andato a Corleone, dove ha dei parenti ("Lunedì scorso l'ho incontrato", aveva scritto Gariffo). Infine, dalle intercettazioni fatte all'epoca, sono emersi i contatti telefonici fra Lipari e Gariffo. "Carissimo - scriveva il 60 a Provenzano - con gioia ho ricevuto tue notizie, mi dispiace sentirti dire che stai non molto bene e la cosa mi fa stare male. Capisco che i tuoi movimenti non sono normali come ognuno di noi ma bisogna che si prenda un provvedimento urgente magari solo per fare la puntura perché non farla può peggiorare la tua situazione". E dopo aver scritto di salute, il 60 chiedeva notizie di alcune estorsioni. Da quando era stato operato di tumore alla prostata, Provenzano doveva fare ogni tre mesi una iniezione di Decapeptyl 11,25 mg, che costa 552,20 euro. La confezione era sulla scrivania del padrino al momento del blitz, dentro una busta dell'ospedale Buccheri La Ferla: per avere conferma dell'identità del codice 60 gli investigatori hanno anche passato al setaccio tutte le farmacie della provincia, lì dove erano state distribuite le 261 scatole di Decapeptyl dalla casa produttrice. Per la vendita, ci vuole non solo la ricetta, ma anche un piano terapeutico. Il padrino non aveva nulla di tutto questo. Provvedeva l'infermiere. Al vaglio della Procura, c'è la posizione di un farmacista.
(La Repubblica, 17 dicembre 2007)